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17 Dicembre 2025La denuncia Una lettera aperta è stata sottoscritta da 138 Società Scientifiche e discussa in un incontro all’Università di Siena. La denuncia un attacco all’autonomia, al finanziamento e alla dignità dell’università e della ricerca
È nutrito l’elenco degli interventi messi in campo dal governo. I rappresentanti della Rete delle Società scientifiche italiane che rappresentano la spina dorsale della ricerca umanistica e scientifica in Italia, li hanno riassunti in questo modo: nuove regole che rendono ancora più selettivo il precariato sul quale si regge la ricerca; abolizione dell’abilitazione scientifica con il rafforzamento del baronaggio locale; controllo governativo sulla valutazione della ricerca effettuata dall’agenzia Anvur; legge delega sul riordino del sistema universitario che favorisce l’accentramento delle decisioni a livello ministeriale e all’interno degli stessi atenei.
Senza contare il fatto che la confusissima e modesta legge di bilancio arenata al momento al Senato non discute della riduzione dei finanziamenti all’università. I fondi per il 2026, sostengono le società scientifiche, saranno inferiori in termini reali a quelli di due anni fa e mancano risorse adeguate per i programmi di ricerca e per la stabilizzazione di una parte dei precari.
C’è poi il problema della fine degli stanziamenti previsti dal Pnrr, che sta causando un calo di risorse per gli atenei con ripercussioni che si preannunciano pesanti già nel 2026. Questa situazione non risolve affatto un problema strutturale della ricerca in Italia: il sottodimensionamento degli investimenti, ben al di sotto della media europea. L’esito è l’espulsione del 90% dei precari della ricerca, ma anche «carriere bloccate, emigrazione verso centri di ricerca e università straniere, riduzione della qualità dell’offerta formativa e impossibilità di competere sul piano internazionale» si legge nel documento.
Al centro delle critiche della comunità scientifica vi è anche il modello di «governance» ipotizzato dal governo Meloni. È percepito come calato dall’alto, senza un reale confronto con le comunità di riferimento. Questo modello, si sostiene, favorisce l’accentramento delle decisioni a livello ministeriale e, per riflesso, all’interno degli stessi atenei, con la possibilità che il mandato dei rettori venga esteso dagli attuali sei addirittura a dieci anni. La preoccupazione per un crescente controllo da parte dell’esecutivo è alimentata dai piani di svuotamento del Consiglio Universitario Nazionale (Cun) e dalle indiscrezioni relative a un progetto ministeriale che prevedrebbe la designazione di un rappresentante del governo in tutti i consigli di amministrazione delle università statali.
In tema di concorsi, la legge approvata dal Senato e ora in attesa di passare alla Camera, che abolisce l’Abilitazione scientifica nazionale, ha fatto emergere il timore che il ritorno a una dimensione di selezione prettamente locale possa prevalere sul riconoscimento della qualità della ricerca a livello nazionale. Le nuove norme pongono numerosi interrogativi senza che emerga, in modo chiaro, una maggiore assunzione di responsabilità da parte delle università e dei Dipartimenti.
Parallelamente a queste questioni strutturali, nel corso dell’incontro senese sono stati sollevati molti altri problemi, a cominciare dal caos seguito al primo semestre del corso di Medicina, l’attacco di Giorgia Meloni all’Università di Bologna per l’attivazione di un corso ad hoc destinato ai militari, e i continui favoritismi che il governo riserverebbe alle università telematiche private for profit. Segnali inquietanti che delineano un sistema pubblico di istruzione superiore e ricerca indebolito e messo sotto attacco.





