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Di Pierluigi Piccini
“Siena incanta”. Lo slogan ufficiale continua a campeggiare nelle campagne di promozione della città. Eppure, mentre l’incanto viene evocato, il commercio segnala una crisi profonda e chiede aiuto. Non è una contraddizione apparente: è il segno di uno scarto ormai evidente tra il racconto e la realtà urbana.
Le notizie di questi giorni parlano di vendite deboli, margini ridotti, difficoltà strutturali. Il commercio attende il Natale come occasione di respiro, ma il quadro resta critico. È qui che la retorica mostra tutti i suoi limiti. Perché se Siena davvero “incanta”, allora diventa difficile spiegare perché chi tiene aperti i negozi fatichi a reggere costi sempre più alti in una città sempre meno abitata.
Il punto centrale va chiarito senza ambiguità: il commercio non è in crisi perché Siena non ha immagine. Al contrario, Siena possiede uno dei capitali simbolici più forti d’Italia. Il problema è che quel capitale viene usato come sostituto di una politica urbana, non come parte di una strategia complessiva. La città è diventata carissima senza essere economicamente solida. Gli affitti – abitativi e commerciali – crescono più dei redditi. Il costo della vita aumenta mentre la capacità di spesa reale diminuisce. Il risultato è una compressione costante della domanda interna.
L’inflazione ha eroso salari e redditi, spingendo i consumi verso il minimo indispensabile. In un contesto simile, parlare di rilancio senza affrontare il tema del potere d’acquisto e dei costi fissi significa non voler vedere il problema. Il centro storico, intanto, perde residenti, funzioni quotidiane, servizi. E quando una città smette di essere vissuta, il commercio non può più basarsi su una domanda stabile: diventa dipendente dal passaggio.
Anche qui serve chiarezza. Un turismo concentrato, discontinuo, orientato più alla presenza che alla permanenza, non genera automaticamente valore diffuso. Al contrario, tende a spingere i prezzi verso l’alto, a modificare l’uso degli spazi, a rendere fragile il tessuto economico che dovrebbe reggere tutto l’anno. I costi crescono, la qualità della domanda si abbassa, e chi lavora resta schiacciato in mezzo.
La richiesta di aiuto da parte del commercio, allora, non è incoerente. È la spia di un modello che non funziona. Si è investito molto nel racconto di Siena e troppo poco nel suo funzionamento. La promozione è stata trattata come soluzione, quando dovrebbe essere solo l’ultimo anello di una catena fatta di residenzialità, servizi, accessibilità, equilibrio tra turismo e vita quotidiana.
Il problema non è lo slogan in sé. Il problema è quando lo slogan diventa un alibi. L’incanto, se non è sostenuto da politiche urbane concrete, smette di essere una risorsa e diventa retorica. E la retorica, prima o poi, presenta il conto: al commercio, ai residenti, ai giovani, alla città nel suo insieme.
Se Siena vuole davvero continuare a “incantare”, deve tornare ad esserlo anche come città vissuta. Non solo come scenografia, ma come sistema urbano funzionante. Governare una città non significa raccontarla meglio, ma renderla abitabile, accessibile, sostenibile. Solo così l’incanto smette di essere una parola e torna ad avere sostanza.





