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Il discorso di Donald Trump in prima serata, pronunciato dalla Casa Bianca, viene raccontato dai media statunitensi non come un momento di rassicurazione, ma come un esercizio di aggressione politica e di fuga dalle responsabilità. Al Jazeera sottolinea il tono trionfalistico del presidente, che rivendica presunti successi e torna ad attaccare frontalmente gli immigrati, mentre il New York Times, nel live blogging, sceglie un titolo che dice molto più del contenuto: Trump attacca e devia le colpe, respingendo le accuse sulle difficoltà economiche degli americani. Non un discorso sull’economia, dunque, ma un tentativo di spostare il bersaglio.
La lettura del New York Times diventa ancora più severa con la verifica dei fatti. L’analisi smonta punto per punto le affermazioni presidenziali, mostrando come Trump abbia utilizzato statistiche parziali o fuorvianti per sostenere che i prezzi stiano diminuendo, quando l’esperienza quotidiana dei cittadini racconta tutt’altro. La sensazione, nella stampa liberal americana, è quella di un presidente che parla a un pubblico già convinto, ignorando deliberatamente i segnali di disagio economico reale.
Intanto, sullo sfondo, le tensioni internazionali continuano a crescere. Anche se Trump non cita il Venezuela nel suo discorso, il New York Times tiene aperto il fronte, raccontando la sfida diretta alla minaccia di blocco annunciata da Washington: la Marina venezuelana che scorta le proprie navi come gesto politico e militare insieme. Nello stesso pacchetto di notizie, emerge un’analisi più interna al potere americano, legata a Pete Hegseth e a un attacco navale che, secondo il quotidiano, l’amministrazione non vorrebbe portare sotto i riflettori. È il segno di una politica estera opaca, dove alcune operazioni devono restare nell’ombra per non incrinare la narrazione ufficiale.
Fuori dagli Stati Uniti, i grandi media internazionali raccontano un mondo segnato da violenza e instabilità. Il Guardian riporta il caso di Nick Reiner, comparso in tribunale con l’accusa di aver ucciso i genitori, una vicenda che si inserisce nel filone cupo delle cronache familiari americane. La BBC torna sulla strage di Bondi, in Australia, dando voce al dolore privato – “forse ora è un angelo”, dice la zia di una bambina di dieci anni uccisa – e subito dopo alla risposta politica: il primo ministro annuncia una stretta dura contro l’incitamento all’odio, segnalando come la violenza armata produca effetti immediati sul piano legislativo.
Sul fronte europeo, il Guardian mette in evidenza la pressione crescente sui leader dell’Unione affinché utilizzino i beni russi congelati per finanziare la difesa dell’Ucraina. L’ipotesi di un prestito da 90 miliardi di euro a Kiev mostra come la guerra stia entrando sempre più nel cuore delle scelte economiche e finanziarie dell’Europa. Parallelamente, in Medio Oriente, il Times of Israel parla di “momento storico”: Benjamin Netanyahu annuncia un accordo da 34,7 miliardi di dollari con l’Egitto per la fornitura di gas naturale, confermando come l’energia resti uno dei veri assi geopolitici della regione.
Infine, Al Jazeera riporta l’attenzione su Gaza, dove alle bombe si aggiunge il maltempo. Le tempeste invernali aggravano una crisi umanitaria già drammatica, mentre l’ONU denuncia che gli aiuti restano bloccati. È un quadro che chiude il cerchio: mentre Trump parla alla nazione cercando di riscrivere la realtà economica, il resto del mondo – e in parte la stessa America – continua a fare i conti con conflitti, disuguaglianze, violenza e emergenze umanitarie che nessun discorso in prima serata riesce davvero a cancellare.





