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La polemica politica sull’operazione che ha portato Monte dei Paschi di Siena a rafforzare la propria presenza in Mediobanca nasce da un equivoco di fondo: l’idea che il Ministero dell’Economia possa esercitare, direttamente o indirettamente, un controllo su Piazzetta Cuccia. Dal punto di vista tecnico e giuridico, questa lettura non regge.
Il MEF è azionista di MPS, non di Mediobanca. Questo dato, apparentemente formale, è invece decisivo. Monte dei Paschi è una società per azioni quotata, dotata di autonomia gestionale e di propri organi di governo. Le partecipazioni detenute da MPS rientrano nella responsabilità del suo consiglio di amministrazione, che opera secondo le regole del mercato e sotto la vigilanza delle autorità competenti. Il Tesoro esercita i diritti dell’azionista esclusivamente all’interno di MPS, non nelle società partecipate dalla banca. Ne deriva che il MEF non nomina amministratori di Mediobanca, non presenta liste per il suo consiglio di amministrazione, non impartisce indirizzi strategici e non esercita alcun diritto di voto in assemblea. Anche quando MPS assume posizioni rilevanti in altre società, il perimetro decisionale resta quello della banca, non dello Stato.
A rafforzare questa separazione c’è il quadro europeo. Dopo l’intervento pubblico su MPS, l’Italia è vincolata agli impegni assunti con la Commissione europea: lo Stato deve comportarsi come un azionista finanziario, evitando qualsiasi interferenza che possa configurare un uso politico della banca o un controllo indiretto su altri gruppi finanziari. Un coinvolgimento diretto del MEF in Mediobanca verrebbe immediatamente interpretato come una violazione di tali impegni e come una forma di aiuto di Stato mascherato.
In questo contesto vanno lette anche le dichiarazioni del ministro dell’Economia. Giorgetti ha dato una risposta sostanzialmente formale e prevedibile, in linea con il ruolo istituzionale e con i vincoli di bilancio e di governance già noti. Non si coglie, dunque, la ragione di tanto scalpore politico e mediatico attorno a parole che non introducono elementi nuovi né modificano il quadro esistente.
Quando il ministro afferma che “come azionisti abbiamo preso atto delle scelte”, descrive semplicemente la realtà dei fatti: il Tesoro prende atto delle decisioni assunte dagli organi di MPS, senza orientarle né estenderle ad altri soggetti. Non c’è una regia pubblica su Mediobanca, né potrebbe esserci senza infrangere regole societarie e vincoli europei. Il nodo, semmai, è tutto interno a MPS: la qualità delle scelte strategiche, la loro coerenza con il piano industriale e la capacità della banca di muoversi come soggetto autonomo sul mercato. Attribuire al MEF un controllo che non ha significa confondere i livelli di responsabilità e alimentare una narrazione politica che non trova riscontro nei fatti. Almeno sul piano formale, va tutto bene.





