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21 Dicembre 2025Due articoli di Pierluigi Piccini mettono in discussione il dibattito pubblico cittadino, denunciando l’uso dell’urbanistica come schermo tecnico e l’assenza di una visione politica capace di affrontare le contraddizioni economiche e sociali di Siena
Una lunga riflessione in due articoli di Pierluigi Piccini, animatore del movimento e della lista civica Per Siena, che meritano di essere analizzati con attenzione perché vanno oltre la cronaca amministrativa e provano a rimettere al centro le contraddizioni strutturali della città.
Nei due testi Piccini costruisce un ragionamento unitario: Siena non è semplicemente in difficoltà, ma si trova dentro una transizione bloccata, in cui il vecchio modello di sviluppo si è esaurito senza che ne sia nato uno nuovo. Il punto di partenza è una critica netta al modo in cui il dibattito pubblico viene spesso impostato: l’urbanistica, le opere, la mobilità o i documenti di programmazione diventano un linguaggio rassicurante, tecnicamente corretto, ma incapace di affrontare i nodi reali che determinano la qualità della vita e il futuro della città.
Secondo Piccini, parlare di spazio urbano senza parlare di lavoro, redditi, mercato della casa e composizione sociale significa usare l’urbanistica come un alibi. Il centro storico che si svuota, la difficoltà di trattenere giovani, famiglie e lavoratori qualificati, l’aumento dei costi abitativi e la precarizzazione dell’economia locale non sono effetti collaterali: sono il cuore della crisi senese. Eppure restano spesso ai margini del discorso istituzionale, sostituiti da una visione settoriale fatta di singoli interventi o di equilibri contabili.
Nel secondo articolo il ragionamento si allarga: la crisi di Siena è letta come la fine di un modello locale fondato su rendite, grandi istituzioni economiche e un sistema di protezione sociale che non esiste più. La transizione, però, non è governata. L’università, il turismo, la cultura e la conoscenza non riescono a tradursi in lavoro stabile e in radicamento sociale; il centro storico rischia di diventare una scenografia, mentre la città perde progressivamente la propria base civile. Le istituzioni appaiono deboli, frammentate, più attente alla gestione dell’esistente che alla costruzione di una visione di lungo periodo.
Il filo che unisce i due articoli è quindi politico prima ancora che tecnico: senza un progetto capace di tenere insieme economia, spazio urbano e coesione sociale, ogni intervento rischia di essere parziale o addirittura controproducente. Piccini invita a riconoscere che il problema non è solo “come” si governa la città, ma per chi e con quale idea di futuro.
In questo senso, la sua riflessione non è una critica astratta ma una chiamata al confronto pubblico: riportare al centro le questioni scomode, rompere la narrazione rassicurante e affrontare la crisi di Siena come una sfida collettiva, che richiede scelte politiche chiare e una nuova idea di città.





