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24 Dicembre 2025Zuffe, rancori e gelosie Così la destra litiga inseguendo il «sogno» dell’egemonia culturale
di Fabrizio Roncone
Lo scontro Veneziani-Giuli e i (pochi) intellettuali d’area
Tanto per avviare il lavoro: spedire subito un whatsapp al ministro Alessandro Giuli. Testo: «Ciao, ministro, perdona: sto scrivendo una cosa su questa baruffa con Veneziani. Credi di dover aggiungere qualcosa?» (poche ipocrisie: il ministro è stato a lungo il condirettore del Foglio e, anche adesso, ci si continua a dare del tu).
Che poi baruffa, forse, nemmeno rende tanto l’idea (Marcello Veneziani è andato giù duro sul governo e dintorni, Giuli ha risposto puntuto, su La Verità — in aiuto del filosofo/giornalista/scrittore — è allora intervenuto pure Mario Giordano e insomma bum bum! in via della Scrofa si sono ritrovati con un presepe completo di ring).
Il fatto è che una certa nuova egemonia culturale continua ad arrancare da destra tra qualche furbizia — all’ultimo festone di Atreju: «Pasolini era dei nostri!». Ma in passato avevano arruolato pure Dante, Alan Ford e Patty Pravo — più molti frizzi e lazzi: stavolta però, come vedremo, anche veri e propri scazzi, risse dialettiche piene di antichi rancori destrorsi e nuove gelosie, cui bisogna aggiungere le polemiche con il mondo del cinema, quelle intorno alla Rai, per la Rai, comprese le tremende opzioni per chiunque percorra i corridoi del Collegio Romano, sede del Mic (rinuncia, abbandono, recesso, allontanamento, congedo, licenziamento), senza che al concetto di cultura venga mai associato niente di realmente concreto (a parte una scombinata mostra sul Futurismo voluta dalla buon’anima di Jenny Sangiuliano), senza mai nessuna novità, né banale né rivoluzionaria, se si esclude la comparsa sulla scena dell’efferato talento di Beatrice Venezi, che gli orchestrali in rivolta del Teatro La Fenice chiamano, tra stupore e mortificazione, Bacchetta Nera.
Così, l’altro giorno, Veneziani se ne esce — a freddo — con un commento su La Verità. Prima, la prende larga, descrivendo con severità l’operato del governo: «Solo vaghi annunci, tanta fuffa, un po’ di retorica comiziale e qualche ipocrisia». Salva Giorgia Meloni: «C’è lei, soltanto lei, il resto è contorno e comparse». Poi prosegue spietato sul concetto di «egemonia culturale»: «Non saprei indicare qualcosa di rilevante che dica al Paese: da qui è passata la destra — sovranista, nazionale, sociale, patriottica, popolare, conservatrice o che volete voi». Quindi, punta Giuli: «Sul piano delle idee, della cultura e degli orientamenti pubblici e perfino televisivi, eccetto l’inchino al governo, tutto è rimasto come prima».
Giuli — lo avrete saputo — gli replica al volo. «Veneziani sversa su di noi bile nera di cui trabocca il suo animo colmo di cieco rimpianto…». Quindi lo punge. Succo del veleno: rimpiange di non essere al mio posto e poi ora fa il «nemichettista», ma è chiaro a tutti che spera d’essere ricompensato da Palazzo Chigi, «il nostro ex consigliere Rai in quota An, per tacer d’altro».
Il ministro
Nel 2007 Giuli scrisse un libro sulla destra in cui sferzava tanti, tra cui Veneziani
Roba forte.
Cosa c’è dietro?
Il tempo di rileggersi l’intervento di Giordano («Veneziani è colpevole di non aver leccato gli stivali di Giuli», che comunque gira davvero con stivali tipo Alberto Sordi nel film Il vigile. «A chi il leccaculo? A noi! Anche questo, in fondo, è un segnale del decadimento della destra al potere»). Poi, il cellulare suona: Din Din! Ecco il whatsapp di Giuli (niente di riservato, posso rivelarvene il contenuto).
«Ciao! Ma no, per me finisce così. Però se riprendi il Passo delle oche sulla Rai di Veneziani ecc ti fai un’idea…».
Lo scrittore
«La sinistra sa come praticare l’egemonia culturale, la destra ha un’idea militare»
Bel libro, quel Passo delle oche (2007, Einaudi): un saggio caustico sulla destra italiana, da Almirante a Fini. Il racconto di come gli eredi del Msi avevano marciato dalle catacombe al potere. Con randellate sparse (La Russa definito «pittoresco scacciapensieri»).
Leggiamo. Pagina 101, scrive Giuli: «…Costretto dalla propria, frustrata vicenda umana a ritrarsi nel racconto delle malattie personali, Veneziani cerca a volte di colpire Fini… Di regola lo fa in nome della sua vecchia mentalità delnociana, un catto-conservatorismo appassito. Ma poi risulta sempre più autentico quando si affida all’inconcludenza, quando narra di sé e dei libri che gli ha bruciato la moglie, del randagio patologico che gli impedisce di dormire per più d’una notte nello stesso posto…». A pagina 116, il ricordo d’una conversazione privata di Veneziani, nel periodo in cui fu consigliere d’amministrazione in viale Mazzini: «Tanto in Rai non si può realizzare niente… L’unico vantaggio del mio ruolo è che ho molto tempo a disposizione per scrivere libri e i soldi per comprarmi una casa».
Sembra di poter intuire che la zuffa nasca dentro una storia di astio sedimentato. Adesso, poi, Mario Giordano infierisce: «Giuli dimentica d’essere diventato ministro solo in virtù d’una Boccia, nel senso di Maria Rosaria, che ha tolto di mezzo Sangiuliano». Tra l’altro non si sa se le sorelle Meloni, prima di arrivare a Giuli, abbiano mai chiesto a Veneziani di diventare ministro. Diciamo che la scelta, comunque, non era ampia. L’establishment culturale, a destra, è risicato (a essere generosi). Quando Jenny uscì — pieno di dignità, va ammesso — con lo sguardo chino e una cicatrice in testa, Pietrangelo Buttafuoco era alla Biennale di Venezia, mentre Angelo Mellone era in Rai. Quanto a Giordano Bruno Guerri: era ed è considerato inaffidabile. Almeno come Veneziani. Il quale, già nel 2020, su Panorama, scrisse: «Oltre a Giorgia, cosa c’è di notevole nel suo partito? C’è una classe dirigente adeguata, a parte vecchie glorie e giovani cognati?».
È possibile, ma improbabile, che uno così, come insinua Giuli, possa sperare di essere candidato con i Fratelli. Va detto che da tempo — oggi Veneziani ha 70 anni — sembra essere in pace con carriera e potere. «Mi sento come il fu Mattia Pascal. Mi godo la mia morte civile». Aggiunse: «La sinistra ha un’idea dell’egemonia, e sa come praticarla. La destra ha un’idea militare». Credere, obbedire, combattere. «Io sono per pensare, dubitare, dibattere».
Questo, naturalmente, non gli impedisce di avere in antipatia Giuli. Uno studioso di riti religiosi. Suonatore di flauto. Ex camerata di Meridiano Zero, tra gente che menava. Ex ultrà della Roma, sempre tra gente che menava. Con una laurea in Filosofia presa tardi. E con un’aquila (si sospetta fascista) tatuata sul petto. Mentre Veneziani, che da filosofo scrive libri, sul petto porta solo i suoi adorati foulard.
Il racconto sarebbe finito qui.
Ma alle 15.58, da un numero sconosciuto, chiama una voce femminile. Farfuglia un nome, dice di sapere cose tremende di quando Veneziani era in Rai, si fa dare l’indirizzo email. «Le mando tutto».
Egemonia culturale del livore.




