
Osservatorio sociale Siena 29 dicembre 2025
29 Dicembre 2025
Piancastagnaio, produzione e territorio: un ruolo che si ridefinisce
29 Dicembre 2025L’assessore Pierluigi Piccini racconta una politica culturale fondata su continuità, formazione e identità territoriale
Dopo il riconoscimento di Piancastagnaio come “Città piccola dell’anno 2025”, raccontato nel nostro precedente articolo, torniamo sul tema per approfondire le scelte che stanno alla base di questo risultato. Lo facciamo attraverso la voce di Pierluigi Piccini, assessore del Comune, che spiega come la cultura sia stata concepita non come una somma di eventi, ma come una politica pubblica continua, capace di incidere sulla formazione, sulla coesione sociale e sul futuro della comunità.
A Piancastagnaio la cultura sembra pensata come un lavoro continuo, non come una serie di eventi. È stata una scelta politica?
Sì, una scelta precisa. Abbiamo considerato la cultura un servizio pubblico stabile, non un cartellone occasionale. Significa lavorare tutto l’anno, costruire percorsi e non limitarsi agli eventi. La musica, il teatro, le attività per le scuole, fino al jazz e all’arte contemporanea, fanno parte di un’unica idea: usare la cultura come strumento di formazione e di crescita civile. Anche la gratuità di molte iniziative nasce da qui.
Molti comuni inseguono format già pronti. Voi no. Perché?
Perché i format si comprano, ma non costruiscono identità. Noi non acquistiamo pacchetti: progettiamo percorsi. Lavoriamo sui luoghi, sulla storia e sulle energie del paese. La rassegna dedicata a Dante Cappelletti, come le proposte musicali o teatrali, nasce da questa logica: qualità, continuità e radicamento. Anche quando introduciamo linguaggi nuovi, lo facciamo per far crescere il pubblico, non per inseguire visibilità.
Teatro, Rocca, biblioteca: che ruolo hanno questi luoghi nella vostra politica culturale?
Non sono contenitori, ma luoghi attivi. Il teatro, ad esempio, non è solo stagione ma anche formazione e lavoro con le scuole. La biblioteca è uno spazio quotidiano di educazione e incontro. La Rocca e gli altri spazi recuperati servono a sperimentare e a mettere in relazione le persone. Ogni luogo ha una funzione precisa dentro un disegno culturale unitario.
Quanto conta il lavoro con operatori, associazioni e cittadini?
Conta moltissimo. Senza un tessuto umano non esiste politica culturale. Abbiamo cercato di costruire una rete fatta di competenze, volontariato, responsabilità condivise. Non è semplice: servono tempo, ascolto e continuità. Ma è l’unico modo per evitare iniziative calate dall’alto e rendere la cultura una pratica collettiva.
In che senso la cultura può diventare educazione civica e futuro?
Perché educa a stare nello spazio comune. Partecipare a un laboratorio, a uno spettacolo, a un concerto significa imparare ad ascoltare, rispettare regole, confrontarsi. È una forma concreta di educazione civica. Investire in cultura vuol dire formare cittadini più consapevoli e dare futuro a una comunità, soprattutto nei piccoli centri.





