Sbilanciamoci! Un programma minimo di proposte radicali
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2 Settembre 2022di Chiara Saraceno
L’inflazione colpisce tutti, ma non nello stesso modo. Dipende da quanti margini di manovra sono consentiti dal bilancio familiare, dato che riguarda beni e servizi in molti casi essenziali, il cui consumo difficilmente può essere ridotto: oltre agli alimentari, beni energetici per uso domestico (energia elettrica, gas per cucinare e riscaldamento). Per questo le famiglie collocate nel primo quintile di reddito, cioè quelle con minore capacità di spesa e flessibilità di bilancio, subiscono la perdita maggiore, dato che colpisce la maggior parte dei loro consumi, se non tutti. Viceversa le famiglie più abbienti, pur dovendo pagare anch’esse di più per alimentari e beni energetici essenziali, hanno un paniere di consumi più ampio e variegato, su cui l’inflazione incide in modo differente. Inoltre possono compensare il maggiore costo dei beni essenziali riducendo il risparmio, o i consumi voluttuari.
Già a maggio il Rapporto annuale dell’Istat segnalava che l’accelerazione dell’inflazione negli ultimi mesi del 2021 e nei primi del 2022 era stata più marcata per le famiglie collocate nel primo quintile di reddito. A marzo 2022, la variazione tendenziale dei prezzi per questo gruppo di famiglie era risultata pari al 9,4%. Al contrario per le famiglie dell’ultimo quintile, più abbienti e con il livello di spesa equivalente più elevato), il tasso di inflazione nel primo trimestre 2022 era risultato del 5,5%: 1,3 punti al di sotto di quello registrato per l’intera popolazione e circa quattro punti percentuali inferiore al tasso di inflazione delle famiglie del primo quinto. La drammaticità del peso dell’inflazione sui ceti più modesti, non solo del primo quintile non può che aumentare con il continuo crescere dell’inflazione, riducendo ulteriormente la possibilità di effettuare consumi essenziali. L’allarme lanciato dagli allevatori sul prezzo del latte, ormai equiparato a quello della benzina, nella sua pesante materialità è anche drammaticamente esemplare di come si stia pericolosamente arrivando a un punto di non ritorno. Tocca un alimento che siamo abituati ad associare ai bisogni primari dei più piccoli, alle loro esigenze di crescita. Giustamente si sta ragionando sulla necessità di ridurre alcuni consumi energetici, a partire da una riduzione del riscaldamento. Ma per i ceti più modesti il razionamento rischia di essere, non il comportamento civico necessario per fare in modo che tutti si possa superare questa situazione difficile, ma l’esito di una impossibilità privata a far fronte ai costi, coinvolgendo non qualche grado in più o in meno di riscaldamento, docce più tiepida e più brevi, lavatrici fatte funzionare a pieno carico e via elencando i consigli degli esperti per un consumo energetico più oculato, ma la necessità di ridurre drasticamente anche i consumi essenziali: non riscaldarsi, non nutrirsi adeguatamente, sostituire pasti adeguati dal punto di vista proteico con pasti che riempiono, dando l‘illusione della sazietà. Non dimentichiamo che l’obesità, almeno nelle società sviluppate come la nostra, è una malattia della povertà, come documentano anche le ricerche dell’Istituto Superiore della Sanità sui bambini della scuola primaria, che mostrano come la distribuzione dell’obesità sia pressoché sovrapponibile a quella della povertà. Ma verrà anche ridotta la capacità di risparmio, che anche nella pandemia si è rivelata una risorsa preziosa in tempi di crisi e incertezza economica. Aumenterà invece l’indebitamento.
Nel pensare alle misure per contrastare gli effetti sulle famiglie dell’inflazione e dell’aumento de costi energetici, sarà il caso di tener conto del loro impatto differenziale sui diversi ceti.