La strada di Draghi per tornare protagonisti sulla scena globale
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23 Settembre 2022“Siamo le madri e le figlie dell’Iran bruciamo il velo contro il regime e i nostri uomini ci incoraggiano”
Ho 24 anni e, da donna, non ho mai avuto diritti civili nel mio Paese. Ho studiato a Parigi ma sono nata a Teheran, dove ho trascorso quasi tutta la mia vita e dove mi trovo in questo momento, attrice di un movimento che forse è una vera rivoluzione o forse no ma che se trionferà sarà certamente una rivoluzione tutta al femminile.
Mia madre non aveva ancora iniziato la scuola primaria quando, nel 1979, il totalitarismo religioso è arrivato al potere e ha dovuto coltivare le sue idee liberali tra le mura domestiche. Oggi che di anni ne ha 45 ci guarda scendere in piazza e mi guarda, è preoccupata ma ripete quanto mi ha sempre insegnato, mai mai mai rinunciare ai propri sogni.
Le proteste degli ultimi giorni raccontano un cambio di passo. Per la prima volta le ragazze delle classi più benestanti si mescolano alle altre. Dopo due giorni di spaesamento sono scesa in strada anche io. In prima linea c’è la generazione degli Anni 80, le attiviste note come «le ragazze di via della Rivoluzione» che hanno dato un grande contributo alla lotta per l’emancipazione, ma ci sono anche tanti miei coetanei e soprattutto tante coetanee, sono più ribelli e coraggiose delle sorelle maggiori. La cosa più importante però è che a guidare la battaglia per l’eguaglianza siano le donne, le coraggiose donne iraniane spalleggiate dagli uomini iraniani con una compattezza che oggi può essere la chiave della vittoria. La rabbia che covava repressa è esplosa, incontrollabile, dopo l’assassinio di Mahsa Amini, una come noi. Poi è dilagata. Sul principio gli slogan riguardavano lei, «è morta, non accettiamo l’umiliazione». Adesso gridiamo «Morte al dittatore», «Vita libera per le donne». Siamo sul crinale. Il governo sta facendo tutto quanto in suo potere per sopprimere le manifestazioni, compreso tagliare Internet e bloccare per ore WhatsApp.
La pressione che il governo iraniano e le élite religiose impongono sulle donne è inimmaginabile all’esterno. Sin dall’età di 7 anni dobbiamo andare a scuola con l’hijab e sottostare al controllo di conformità, affinché copra bene i capelli. Come se non bastasse a serrare la morsa ci sono i tabù sociali, gravi, asfissianti. La nostra vita somiglia al «Racconto dell’ancella» di Margaret Atwood, solo che le donne come Zia Lydia, l’istitutrice cattiva al servizio della teocrazia militare, sono la minoranza. I video di questi giorni mostrano chiaramente che ci sono dimostranti senza velo e altre con il velo. Anche la comunità più osservante non sopporta più il regime. L’omicidio di Mahsa Amini da parte della polizia ha spinto in strada persone diverse, indipendentemente dal loro credo politico o religioso.
È un percorso che non viene da molto lontano. Negli ultimi anni sono nati in Iran movimenti femministi guidati non da intellettuali ma da donne semplici e questi gruppi di base hanno reso via via più familiare il tema dei diritti, fino a impensierire il governo. Fino a Mahsa Amini. A volte può bastare una scintilla. E io sono molto orgogliosa di quanto sta accadendo. A Teheran come nelle altre città vedo donne lontanissime fra loro aiutarsi l’una con l’altra. Hanno magari obiettivi diversi nella vita ma condividono il fatto di non voler più sottostare a un regime religioso. Per questo la repressione è tanto brutale, violenta. Nonostante la polizia picchi con i bastoni e spari, non sempre in aria, le donne continuano a togliersi il velo e a bruciarlo mentre gli uomini le incoraggiano.
Voglio aggiungere un punto, importante. Quanto accade nelle nostre città non è avulso dal resto del mondo. Il governo iraniano sostiene fermamente la Russia di Vladimir Putin e la sua politica guerrafondaia a dispetto della gente, che è invece su posizioni opposte. All’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina gli iraniani hanno sposato la causa di Kiev e per settimane lo hanno manifestato sui social network, con hashtag no-war e moltiplicando le iniziative online. C’erano allora moltissimi tweet in farsi contro la guerra di Putin e a favore del fiero popolo ucraino, poi l’attenzione è un po’ scesa. Ma quegli slogan sono tornati in piazza adesso, tra un velo bruciato e l’altro si sente urlare che Putin è il diavolo e che il governo iraniano è suo colpevole complice.
Proprio mentre noi ci battiamo il presidente iraniano Ebrahim Raisi è a New York e parla all’assemblea delle Nazioni Unite, sostenendo, contro ogni logica, che il nostro Paese è una democrazia. Mente. Lui parla e il suo popolo viene ammazzato per le strade e nelle piazze.
La posizione regionale dell’Iran è strategica, lo sappiamo bene. A questo dobbiamo il silenzio delle diplomazie internazionali e di troppi capi di Stato sulle aspirazioni del popolo iraniano e sulle violazioni dei diritti umani. Non dovreste voltare la testa dall’altra parte di fronte a quanto sta accadendo qui. Proprio no. La ragazza Mahsa, ammazzata per una legge assurda che punisce il reato di indossare malamente l’hijab, aveva solo 22 anni. Io ne ho appena compiuti 24. Per quanto tempo il mondo ha intenzione di restare indifferente, fingendo di non ascoltare la voce delle donne iraniane? —
testo raccolto da Francesca Paci