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10 Novembre 2022Ma siamo sicuri a pensarci bene che non sia un benservito
10 Novembre 2022di Simonetta Sciandivasci
Jacopo Tabolli, l’etruscologo dell’Università per Stranieri di Siena che ha coordinato lo scavo archeologico di San Casciano dei Bagni di cui parla tutto il mondo (o quasi) da due giorni, il più importante degli ultimi cinquant’anni, ammirato sui social anche dai profili di gattini, trash e mukbang, parla italiano, inglese e greco moderno. È stato a lungo funzionario di sovrintendenza a Siena, Grosseto, Arezzo, guadagnando poco meno di 1600 euro, finché l’anno scorso è passato all’università. Quando scava, non porta con sé nessun libro: «Si riempirebbe di fango».
Ha 38 anni, due figli, una moglie cipriota anche lei archeologa e un’amica lontana, carissima, Viola Lo Moro, poetessa e attivista, che ieri ha scritto su Facebook un post ricondiviso molte volte. Diceva: «Il suo entusiasmo, la sua passione per quello che faceva e che fa, è un fatto che è stato spesso criticato, talvolta persino deriso, nei posti che, negli anni, ha attraversato. Noi stessi, da ragazzi, a volte eravamo sfiniti dal suo entusiasmo». Lui conferma ma dice alla Stampa che, più di tutto, a descriverlo è la sua testardaggine nel voler capire le cose: «La curiosità e il desiderio di scoprire la verità è alla base del lavoro di tutti gli archeologi. Subito dopo c’è lo stachanovismo».
Tabolli lavora sulla zona interessata dallo scavo da tre anni, cioè da quando l’amministrazione comunale di San Casciano ha finanziato una serie di ricognizioni geofisiche per aggiornare la carta archeologica del comune. Racconto per inesperti (tutti noi): «Il Comune di San Casciano, come molti altri, a un certo punto ha dovuto dotarsi di uno strumento urbanistico nuovo, che fosse conformato al piano paesaggistico della regione Toscana del 2015, uno dei primissimi approvati in Italia. Allora ha deciso che, indipendentemente dalla progettazione urbanistica, sarebbe stato utile e giusto avere un quadro conoscitivo di tutta l’area, indipendentemente dai vincoli archeologici. Quell’area, stando ad antiche testimonianze medicee e medievali, avrebbe potuto essere ricca di resti archeologici, quindi il comune ha incaricato di mapparla Emanuele Mariotti, esperto di geofisica e libero professionista. Io, che allora ero ancora funzionario di sovrintendenza, sono stato coinvolto in un lavoro di archeologia invisibile». Significa che la squadra ha lavorato con georadar, termocamera e magnetometria, tutti strumenti di indagine non distruttiva: una specie di radiografia del terreno. E dopo? «Ci siamo resi conto che esisteva una zona di più di 4 ettari strapiena di evidenze che i radar segnalavano ma non datavano: una zona che le fonti documentali medievali chiamavano Montesanto, e che quindi visto il nome poteva contenere tracce di un culto. Ci siamo concentrati lì e abbiamo approfondito lo scavo.