Italia 1920, il sud della Puglia di un piccolo paese dove gli uomini sono partiti a combattere la Grande guerra, le famiglie, le mogli li hanno aspettati, molti di loro non hanno mai fatto ritorno, altri sì ma perdendo pezzi di corpo – e certo anche il cuore – invalidi per sempre e affamati visto che non potranno più lavorare. Anche i padroni del paese erano partiti per la guerra, tornando decorati e pronti a riprendere il proprio posto di benessere e privilegi che il latifondo ha concesso loro sino a allora; ma qualcosa sta cambiando, c’è chi comincia a parlare di rivolta, di mettere fine allo sfruttamento dei contadini, il socialismo è arrivato tra di loro come il fascismo che ha iniziato a gonfiarsi e a spandere violenza: ci saranno le elezioni e i padroni insieme al clero, quello di lusso, non vogliono perdere i propri poteri e per questo sono pronti a tutto.
È da qui che prende forma la vicenda di padre Pio, il santo nato a Pietrelcina, e vissuto a San Giovanni Rotondo, la cui presenza «miracolosa» ha trasformato quei luoghi negli anni in un business mondiale – ma i miracoli sono sempre un business. Ed è qui che Abel Ferrara fa vivere il suo nuovo film, Padre Pio, non un biopic del santo ma quasi una storia d’Italia – lui la chiama «nascita di una nazione» – che in quelle origini lontane riflette qualcosa di mai sanato. E insieme un’immersione profonda nella religiosità strabica tra peccato e redenzione che attraversa tutti i suoi film, sin dagli esordi, la cui parabola si afferma nel giorno del massacro. Padre Pio, scritto insieme a Maurizio Braucci e interpretato da Shia LeBeouf, convertito al cristianesimo dopo viaggi esistenziali difficili quasi come quelli del suo personaggio – per prepararsi ha passato alcuni mesi in un monastero – sarà presentato in concorso alle Giornate degli autori il 2 settembre. Dedicato alle vittime di quel massacro e al popolo ucraino oggi. Ne parliamo con Ferrara qualche giorno prima dell’inizio del festival, tra i suoi progetti c’è adesso un film in Ucraina che inizierà a Kiev.

Cosa l’ha attratta nella figura di padre Pio che è anche piena di ambiguità?

L’ho scoperto a Napoli, la sua immagine era ovunque insieme a quella di Maradona. La mia famiglia viene da Sarno, in Campania, mio nonno è emigrato a New York, sono cresciuto con una cultura cattolica molto forte. Ho iniziato a fare ricerche su padre Pio realizzando un documentario, mi hanno colpito la sua pietà, la sua compassione, i dubbi che lo accompagnavano, la ricerca che compie, la sua quotidianità. E che è rimasto sempre una persona umile come era mio nonno. Padre Pio era un visionario, le sue lettere che mi fanno pensare a Pasolini raccontano un viaggio spirituale verso la missione della sua vita. E ha fatto cose incredibili per quell’epoca e in quella realtà come costruire un ospedale dove i poveri si potevano curare in un posto senza acqua riuscendo a trovare per finirlo milioni di dollari.

La narrazione della parabola di padre Pio si unisce a quella del luogo, alla miseria dei contadini, agli inizi del fascismo. Il nucleo diviene il giorno delle elezioni a San Giovanni Rotondo, il 14 ottobre del 1920, e del massacro che è stato compiuto contro i socialisti vittoriosi.

Le prime stigmate sono apparse a padre Pio proprio in quel periodo. Il massacro di San Giovanni Rotondo pone temi molto attuali, si parla di lotta contro l’oppressione, del desiderio di libertà, di una ricerca spirituale. Cosa era successo? I socialisti avevano vinto le elezioni contro una coalizione di fascisti e altri chiamata Fascio d’ordine, i vincitori avevano organizzato un corteo di festa e volevano esporre la bandiera rossa sul balcone del municipio. I proprietari terrieri erano lì ad aspettarli coi carabinieri e soldati pronti a intervenire, hanno sparato e sono morte decine di persone. Per me rappresenta l’inizio delle democrazia e l’affermazione del fascismo ma è stato cancellato dalla storia italiana, nessuno ne parla, nessuno ne sa niente. Eppure è come la nascita di una nazione divisa tra il desiderio e la paura della democrazia, l’incubo della rivoluzione russa e del mondo industriale che però è già lì. Quegli eventi contengono il germe della futura seconda guerra mondiale, le persone lì vivranno nelle stesse condizioni di altre milioni di persone che saranno uccise venticinque anni dopo. Mi sembra un buon punto di partenza per un film.

L’ho scoperto a Napoli, la sua immagine era ovunque insieme a quella di Maradona. La mia famiglia viene da Sarno, in Campania, mio nonno è emigrato a New York, sono cresciuto con una cultura cattolica molto forte.

Al tempo stesso sembra che Padre Pio e la realtà intorno a lui non si incontrino mai: la sua visione si concentra soprattutto sulla sua lotta spirituale contro demoni che lo assalgono e lo tentano ogni momento, sotto forma di mostri e di donne bellissime.

Il tempo è sospeso ma lui vede le persone e sa cosa accade, tutti sanno chi è padre Pio, è parte integrante di quel mondo da quando è giovane. La sua presenza è centrale specie perché è un grande confessore, ha una abilità speciale nel confessare e ha una grande influenza spirituale. Lui conosce le dinamiche che accadono e che accadranno ma si muove su un piano diverso da quello della politica, per lui si tratta dell’amore di Dio, della compassione, sa che ogni cosa può essere ricondotta a questo. L’altra chiesa, quella istituzionale gli è lontana, fa parte del potere, anzi è il potere stesso insieme ai proprietari terrieri; il parroco controlla con loro la cittadina, è corrotto, avido.

Nelle discussioni tra i socialisti lei illumina con grande precisione le fratture tra chi vuole la rivoluzione e chi il consenso delle masse e le elezioni, coi figli dei ricchi che hanno lasciato la propria classe per lottare coi poveri.

La guerra aveva cambiato il mondo, erano diversi i soldati tornati dal fronte e i ragazzi che avevano studiato all’università cominciando a parlare nella propria terra di comunismo, di eguaglianza, della necessità di trovare una via di liberazione. Ogni gruppo ha delle divisioni al suo interno, nei socialisti c’è chi vuole seguire la rivoluzione russa e chi crede nelle elezioni che sono le prime, rappresentano un New Deal della democrazia. Ho raccontato sempre la working class, che è da dove vengo e che conosco bene.

Vede delle affinità con la storia americana?

Mi sembra tutto molto più vicino a quello che succede oggi.