Ebbene sì, alla fine, l’ho letto tutto, senza saltare una riga, e senza aver programmato di farlo. Anzi, senza nemmeno essermene accorta, perché (invece di «saltar pagina» come spesso si fa quando i libri come questo pesano 3 kg e, soprattutto, sono una raccolta di articoli e non un romanzo giallo) sono stata subito presa dalla voglia di leggere la pagina immediatamente successiva. Con discreta fatica, ho finito per infilare nella piccolissima valigia che mi accompagna in giro per l’Italia in questi giorni di campagna elettorale un volume di 598 pagine che raccolgono 94 articoli, scritti da Bernardo Valli sui 5 quotidiani per i quali ha lavorato nella sua vita: L’Italia dal ‘55, Il Giorno dal ‘57, Il Corriere della sera dal ’73, Repubblica dal ’77, La Stampa dal ’79 e poi, finalmente fisso, di nuovo a Repubblica dal 1985, alla fine abbandonata, anche come collaboratore ormai pensionato, nel 2020.

Il libro di Bernardo Valli, forse il più illustre inviato del giornalismo italiano della nostra epoca, è stato pubblicato dalla neonata casa editrice Ventanas e si intitola Se guardo altrove. Letteratura, arte, fotografia, cinema (1962-2019). Quando le proporzioni di quanto devi recensire sono tali di solito ti attrezzi a dare una scorsa, magari affidandoti alla memoria di chi, come me, molti di quegli articoli peraltro ha già letto nel mezzo secolo trascorso. E invece no, non è stato così, questo libro nonostante la mole, me lo sono portata dietro per un mese, sempre più perduta lungo l’itinerario di una riscoperta dell’Europa, seccata quando dovevo interrompere la lettura e scendere dal treno perché giunta alla stazione d’arrivo.

GLI ARTICOLI vengono iscritti come «culturali», che dovrebbe voler dire quelli di terza pagina, settore a parte e di minore interesse rispetto a quelli cosiddetti di cronaca politica; eppure è proprio questa angolatura che li rende straordinari, perché come si fa a descrivere l’accaduto penetrando il suo significato senza cogliere le emozioni che quei fatti hanno provocato, senza tener conto del contesto che per essere compreso ha bisogno di capire il vissuto dei suoi protagonisti, l’intimo delle persone, il prima e il dopo dell’avvenuto: tutto ciò che viene etichettato come cultura e invece è politica, quella vera.

Comincio col leggere della stretta di mano fra Sartre e Aron, nel 1979, vista attraverso una chiacchierata con Jean Daniel, direttore di Nouvel Observateur, il più attento settimanale francese che parla di un fatto singolare: due personaggi decisivi, e però diversissimi fra loro, uno di sinistra uno di destra, in quel paese dove non capita che si stringano la mano, come invece può capitare in Italia. Non ci avevo mai pensato, ma è vero, i marxisti – e Sartre nonostante l’esistenzialismo in fondo lo è stato – sono in Francia assai più radicali di quanto siano in Italia.
Subito dopo trovo Camus, Cezannes, Dibuffet, Bernanos, Dieu de La Rochelle, Malraux (e però assieme al suo «traduttore» cinematografico, Costa Gavras, che invece è greco). Ma è davvero greco Costa? No, è parte della cerchia parigina di allora, come tantissimi altri, Calvino, per esempio, o, abituali al caffè Baubourg, Edmond White, americano ma per 15 anni a Parigi, con Ginevra Bompiani e Agamben.

TUTTI QUESTI AMICI White li ricorda nella sua Sinfonia dell’Addio, nel volume di grande successo cui però aggiunge uno scritto più autobiografico che affida a una piccola rivista di allora, Les inrockuptibles. Gli stranieri non sembrano tali, sono tutti dentro l’universo letterario francese, perché questo è stato il mondo di quella generazione di giornalisti/intellettuali come Valli e il suo amico e direttore Scalfari, per i quali – anche se Valli ha girato molto attraverso tutti i continenti, in alcuni anzi immergendosi a pino come il Vietnam o l’Algeria – la Rivoluzione francese resta il centro della storia universale. E infatti anche questo libro ne parla moltissimo attraverso voci, e dunque storie, diverse: innanzitutto quella di Francois Furet, cui si collegano i grandissimi autori di quel passaggio epocale che c’è stato fra il ‘700 e l’800 e che sembra tutto essersi svolto in Francia: Voltaire, Stendhal, Chateaubriand, Flaubert, Montaigne, Philippe Sollers, Condorcet. Se poi andando avanti arrivi a un incontro con Levi-Strauss cui Valli chiede nientemeno cosa pensa dell’arrivo dell’Euro, e lui prima obietta che si occupa solo di selvaggi vissuti millenni prima, ma, siccome Valli insiste perché – dice – gli interessa il suo parere proprio perché mettere a confronto quello che accade oggi attraverso il filtro di altre culture, e il discorso si fa davvero interessante, che fai? Chiudi forse il libro? No, ti intrighi di più e vai avanti, e così trovi una bella battuta sulla globalizzazione: no, risponde Levi-Strauss a Valli che pregia le capacità di informazione sul mondo che questa consente, il grande sociologo gli risponde: «prima quando era molto diverso, un cinese poteva aspettarsi molte cose nuove da noi; e noi da lui. Le differenze sono molto più interessanti!».

No, in questo libro non ci sono recensioni. C’è una rilettura della storia attraverso i libri, la «cultura». Il 3 novembre 1998, il giorno precedente il famoso anniversario della fine della prima guerra mondiale, Valli ce la racconta attraverso i tanti libri che di quel massacro hanno dato conto. Tanti a me sconosciuti.

PER ESEMPIO io non sapevo che Gadda fosse stato un nazionalista sfegatato, certo diverso da Lussu, e anche da Junger, da Celine, ovviamente tutti diversi da chi più tardi ha riflettuto su quel massacro, Hobsbawm, per esempio, che nel Secolo breve conclude riflettendo sul fatto che quella data 4 novembre 1918 sancisce la fine di tre Imperi – quello russo, quello ottomano e quello austroungarico – e la nascita di una nuova potenza mondiale, gli Stati Uniti.
E poi arriva la seconda guerra mondiale e il secolo si chiude contando 187 milioni di morti, uno su dieci stando al totale degli umani del 1900.
Quante storie, quanti scrittori meravigliosi e appassionanti. Ce ne saranno di questa grandezza da leggere alla fine di questo XXI? Per ora, francamente, non mi pare, anche perché se, come ormai sembra possibile, dopo una nuova guerra mondiale, anche se ci fossero sarà difficile trovare i vivi che li leggano.
Insomma, consiglio davvero di prendervi il tempo di leggere Se guardo altrove. Non è un’antologia, è nell’insieme un grande libro di storia (preferibilmente, però, leggetelo quando non viaggiate).