Congelato. O, meglio, in cerca di una soluzione. E di tempo. Tra improvvise accelerazioni e frenate decise, il dossier Mps sembra muoversi a singhiozzo. Le ultime dichiarazioni che puntavano a raffreddare ipotesi e rumors di una cessione parziale, da parte dell’azionista Mef, del 5-7% del capitale (su un 64% complessivo) sono arrivate nei giorni scorsi da parte dello stesso ministro Giorgetti. Che ha sottolineato come l’obiettivo del governo su Mps non sia «fare cassa» ma «fare politica industriale». Mps può essere infatti «una leva per costruire un polo forte». A decidere su condizioni, tempi e modalità, sarà lo stesso ministro dell’Economia «evitando speculazioni e con l’obiettivo di aiutare la banca e il sistema bancario italiano». Parole che servono a spazzare via indiscrezioni relative a prossime cessioni che hanno abbattuto il titolo del 10% nel giro di due giorni. E che hanno avuto anzi l’effetto di far rimandare qualsiasi ipotesi di studio. Del resto, con un titolo che continua a viaggiare attorno i 2,5 euro, per il Tesoro si prospetterebbero perdite potenziali importanti in caso di cessione ai prezzi attuali. A fronte di un investimento complessivo pari a circa 8,5 miliardi, il 64% del Monte nelle mani del Governo vale poco meno di due miliardi. Difficile pensare di vendere a questi prezzi, a meno di accettare pesanti minusvalenze.
Guadagnare tempo, dunque, e spostare quindi in avanti la scadenza dell’uscita dal capitale che sarebbe fissata a metà 2024, servirebbe inoltre a far maturare l’interesse dai potenziali acquirenti. Anche perché – quanto meno al momento, serve sottolinearlo – da Mps sembrano tenersi lontani tutti i possibili pretendenti. Fuori dai radar sembra essere UniCredit, che dopo aver trattato a lungo nel corso del 2021 l’acquisto con il Mef, salvo poi uscire di scena, oggi appare concentrato più sull’estrazione di valore interna e su eventuali piccole acquisizioni mirate nel Centro ed Est Europa. Fuori dai radar appare Bper, che pure ha studiato nei mesi scorsi il dossier, ma che oggi è invece chiamato su altre partite: dopo l’integrazione del ramo ex Ubi e di Intesa, la banca modenese guarda alla Valtellina, dove il proprio azionista di riferimento Unipol (20%) ha appena aumentato la stretta su Banca Popolare di Sondrio, gettando così le basi per un consolidamento futuro, anche se non certo immediato. Così come fuori dai radar, quanto meno per ora, appare anche BancoBpm: la banca di piazza Meda ha più volte accarezzato l’idea di un’aggregazione con Siena ed è forse il candidato ideale per un’aggregazione, ma è chiaro che, a meno che il Governo non introduca condizioni particolarmente favorevoli (ad esempio riattivando la normativa sulle Dta), è difficile ipotizzare un’operazione di M&A che sarebbe indigeribile per gli azionisti del BancoBpm.