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5 Ottobre 2025
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5 Ottobre 2025Amiata-Val d’Orcia: il paradosso della Cassia, tra bellezza da cartolina e isolamento quotidiano
Ottanta chilometri che raccontano due Italie: quella delle meraviglie che incantano il mondo e quella delle infrastrutture che penalizzano chi ci vive
Come racconta Michela Berti, capo redattrice della Nazione di Siena, nel suo reportage dalla strada Cassia, il tratto che da Siena conduce a Piancastagnaio è l’emblema perfetto di un paradosso tutto italiano. Da una parte, una delle strade più fotografate e ammirate della Toscana; dall’altra, un’arteria viaria al collasso che isola comunità intere e mette a rischio l’economia locale.
Il sogno turistico della Val d’Orcia
Berti dipinge con efficacia la scena che si ripete ogni giorno: turisti con “occhi a mandorla” in posa al Poggio Covili, dove i celebri cipressi conducono a un casale che è diventato icona internazionale della Toscana. Ciclisti in fila su quella strada stretta e pericolosa, praticanti di nordic walking, pellegrini in cerca di silenzio e introspezione. Auto d’epoca con targa straniera, Porsche tirate a lucido dirette a Bagno Vignoni. Un acquarello vivente che riempie gli album dei viaggiatori di tutto il mondo.
È il fascino del “movimento lento”, della Toscana più autentica, dove il tempo sembra sospeso tra colline dorate, pici fatti a mano e bistecche di chianina.
L’incubo quotidiano di chi ci vive
Ma questa stessa strada, ricorda la giornalista, ha “una doppia anima”. Per residenti, pendolari e autotrasportatori è “un calvario”: cantieri infiniti, semafori che scandiscono lunghe attese, gallerie come quella di Torrenieri e Le Chiavi che sono diventate sinonimo di ritardi e incertezza.
“Sai quando parti ma non quando arrivi”, scrive Berti. Una frase che i turisti trovano romantica, ma che per chi lavora significa perdere clienti, arrivare in ritardo, vedere la propria impresa penalizzata dalla cattiva viabilità.
L’allarme dei sindaci dell’Amiata, soprattutto quelli della parte senese
Un grido d’allarme si leva da tempo dai primi cittadini dell’Amiata senese e della Val d’Orcia, territori che da anni denunciano l’abbandono infrastrutturale e la mancanza di certezze sui tempi di completamento dei lavori. Il problema è enorme e penalizza profondamente quest’area: le imprese locali danno lavoro a tantissime persone, e non è il momento di creare ulteriori problemi all’occupazione. Per l’intero versante senese del monte e per i borghi che costellano questa valle patrimonio UNESCO, la viabilità è diventata emergenza quotidiana e minaccia concreta per la tenuta economica e sociale delle comunità.
Una marginalità che viene da lontano
Per comprendere appieno il paradosso di oggi è necessario fare un passo indietro nella storia. La via Cassia fu una delle grandi vie consolari romane, costruita a partire dal II secolo a.C. per collegare Roma con l’Etruria settentrionale. Non era una strada qualsiasi: serviva a consolidare il dominio romano, garantire il movimento delle legioni, aprire canali commerciali. Lungo il suo percorso sorsero stazioni, ponti, acquedotti, mercati. Nel Medioevo, con la sovrapposizione della via Francigena documentata nell’itinerario di Sigerico nel X secolo, da strada degli eserciti divenne strada dei pellegrini. Pievi romaniche, ospedali, monasteri fecero di questa arteria il cuore pulsante dell’Europa cristiana. Città come Siena vissero secoli di prosperità grazie a questo flusso ininterrotto di uomini e culture.
Ma è con l’Unità d’Italia che inizia il declino. La ferrovia Roma-Firenze scelse il tracciato delle tre valli – Arno, Val di Chiana, Tevere – per ragioni tecniche ma anche di concentrazione dei flussi. La Cassia rimase esclusa. Fu il primo grande scarto: mentre i territori lungo la ferrovia conobbero crescita industriale, i paesi cassiari iniziarono a rimanere ai margini.
Il colpo definitivo arrivò negli anni del boom economico, con la costruzione dell’Autostrada del Sole (1956-1964). Anche qui la scelta del tracciato seguì la logica ferroviaria, privilegiando la direttrice Firenze-Arezzo-Roma. Il peso politico di Arezzo negli anni ’50 e ’60 fu determinante nell’imporre la città come snodo strategico, rafforzando il corridoio orientale e condannando la Cassia a un ruolo definitivamente periferico. Ne derivò una frattura territoriale profonda: chi aveva autostrada e ferrovia si aprì all’industrializzazione e al commercio europeo; chi era rimasto lungo la Cassia conobbe decrescita demografica, impoverimento economico e progressiva marginalità.
È una contraddizione amara: quella stessa marginalizzazione che ha frenato lo sviluppo industriale ha anche preservato paesaggi e culture che altrove si sono trasformati rapidamente. I borghi medievali, le pievi romaniche, i vigneti e gli oliveti che hanno mantenuto una dimensione “fuori dal tempo” sono oggi il capitale su cui si fonda l’attrattività turistica del territorio.
Una lezione di storia delle infrastrutture
La vicenda della Cassia, come ha recentemente evidenziato il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, è più di una semplice cronaca di strade: è una lezione di storia delle infrastrutture. Mostra come le decisioni politiche e ingegneristiche abbiano plasmato, nel corso dei secoli, non solo i collegamenti ma anche la sorte delle comunità. Un tracciato scelto o escluso può determinare sviluppo o marginalità per generazioni.
Oggi ci troviamo di fronte a un bivio. La riscoperta della via Francigena, il crescente interesse per i cammini e il turismo lento stanno riportando attenzione sulla Cassia. Quello che un tempo era un fattore di debolezza – la mancanza di grandi infrastrutture moderne – può diventare una risorsa nell’epoca delle mobilità sostenibili e della ricerca di autenticità.
Una sfida per il futuro
L’articolo di Michela Berti solleva dunque una questione che è al tempo stesso antica e urgentissima: come conciliare la valorizzazione turistica di un patrimonio straordinario con i bisogni legittimi di chi quel territorio lo abita e lo fa vivere? Come evitare che i luoghi più belli d’Italia diventino musei a cielo aperto per visitatori domenicali, mentre chi ci vive è costretto a emigrare per mancanza di servizi adeguati?
La risposta non può essere il ritorno a un’industrializzazione che distruggerebbe proprio ciò che rende unico questo territorio. Ma nemmeno può essere l’accettazione passiva dell’isolamento. Serve una terza via: investimenti mirati sulla viabilità esistente, certezza sui tempi dei lavori, manutenzione costante, ma anche la capacità di trasformare la Cassia in un corridoio di sviluppo sostenibile, dove turismo culturale, eccellenze agroalimentari e qualità della vita possano coesistere.
Come conclude giustamente Berti: “L’isolamento dei territori e il contrasto alla desertificazione dei piccoli borghi si fa, prima di tutto, con l’efficienza dei servizi e dei collegamenti stradali. Su quest’ultimo aspetto anche in provincia di Siena c’è ancora tanta strada da fare”.
Una strada che, paradossalmente, è già bellissima e carica di storia. Ma che andrebbe anche resa percorribile per chi quella storia la vive ogni giorno, non solo per chi viene a fotografarla.