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30 Settembre 2025
Roberto Latini porta in scena le apparizioni angeliche del Vangelo secondo Matteo
“Quem quaeritis? Chi cercate?”. Con giacca e pantaloni bianchi e una maschera dorata alata sul volto, l’angelo di Roberto Latini interroga il pubblico del Teatro Olimpico di Vicenza. “Ànghelos. Verso il Vangelo secondo Matteo trascritto da Pier Paolo Pasolini” – applaudito alla prima assoluta per il 78° Ciclo di Spettacoli Classici – è il primo passo di un progetto più ampio che porterà, tra circa un anno, alla messinscena integrale del Vangelo pasoliniano. Lo spettacolo, che sarà riproposto in primavera alla Pergola di Firenze, è un’opera autonoma che rielabora la sceneggiatura cinematografica in una nuova scrittura scenica.
Quattro apparizioni, quattro linguaggi
Lo spettacolo si articola in quattro “apparizioni” in 80 minuti di teatro. La scelta di Latini è concentrarsi sulle apparizioni angeliche del film, trasformandole in nuclei drammatici autonomi. Ogni apparizione sviluppa un proprio linguaggio scenico, intrecciando le parole di Pasolini con echi letterari di Milton, Rilke, Euripide e Wenders.
La prima apparizione, con Elena Bucci, dà voce all’angelo dell’Annunciazione che solleva Giuseppe dai dubbi su Maria. Ma accanto alle parole evangeliche risuona il lamento straziante di Ecuba dalle “Troiane” di Euripide, la regina che ha visto massacrare tutti i suoi figli. “Perché l’assassinio di un bambino, per paura?” chiede Euripide, e la frase risuona con potenza nella nostra contemporaneità. La strage degli innocenti ordinata da Erode diventa eco universale di tutte le violenze perpetrate contro i bambini.
La seconda apparizione, affidata a Marcello Sambati, riguarda Giuseppe: l’invito a fuggire in Egitto e poi il ritorno in Galilea. Qui le parole di Pasolini si intrecciano con i versi di Rilke, poeta dell’invisibile. Sambati incarna questa fusione con il suo “corpo poetico”. Giuseppe diventa figura dell’uomo che obbedisce a una voce che non comprende pienamente, ma in cui ripone fiducia. Come spiega Latini: “Mi piace pensare non a angeli diversi, ma a momenti diversi dello stesso angelo, nella sua capacità di mutare forma e linguaggio”.
La terza apparizione porta in scena il demonio tentatore del deserto. Luca Micheletti, attore poliedrico e baritono, lo interpreta con eleganza ironica e beffarda, intrecciando versi del “Paradiso Perduto” di Milton e dell'”Adamo” di Giovan Battista Andreini. Il demonio è “irresistibile ma disperato per la sua caduta”. Come sottolinea Latini: “Il demonio è un angelo, anche lui. Pericolosissimo proprio perché seducente”. Micheletti ne restituisce il “fascino guascone, il rischio dell’incanto”: il male che si fa attraente proprio attraverso la seduzione.
La quarta apparizione è interpretata dallo stesso Latini: l’angelo al Sepolcro che le pie donne trovano davanti alla tomba vuota. Con ali che si dibattono al rullo della batteria, l’angelo pone la domanda cruciale: “Chi cercate?”. “Quella domanda è rimbalzata in me come eco di un bisogno disperato di senso”, confessa il regista. “L’ho sentita vibrare nelle parole di Pasolini, nel suo amore per la madre Susanna, e anche nel Cielo sopra Berlino di Wim Wenders, dove gli angeli ascoltano il dolore degli uomini”. L’angelo al Sepolcro diventa figura dell’interrogazione radicale che ogni spettatore porta dentro di sé.
Lo sguardo e i bambini
A tenere insieme le quattro apparizioni è il tema dello sguardo. Come nel film di Pasolini, dove i “primissimi piani” dei volti diventano protagonisti, anche a teatro lo sguardo rivela l’interiorità. “Pasolini ha riempito il film di volti, soprattutto di bambini”, osserva Latini. Lo spettacolo si apre e si chiude con l’eco della parola “bambini, bambini”: il Bambino della Natività diventa immagine di tutti i bambini del mondo. Un’eco che oggi fa pensare inevitabilmente a Gaza, alla sofferenza innocente che attraversa il nostro tempo.
La sceneggiatura pasoliniana è un “capolavoro di sintesi e profondità”: dettagliata nelle inquadrature, coglie l’essenza di personaggi umani in cui si riflette il divino. Il dolore della giovinetta Maria, il volto fiero di Giuseppe, il pericoloso demonio tentatore, l’autorevole angelo del Sepolcro. La sfida di Latini è trovare connessioni di senso tra l’antico e il contemporaneo, ponendo al centro le domande ultime: la vita e la morte, e forse la speranza.
Le luci fissano i gesti come fotografie, le musiche contemporanee di Gianluca Misiti amplificano il fascino evocativo della scena, ma tutto resta ancorato alla centralità della parola. “Non ho voluto ricamare intorno al Vangelo. Era già tutto lì”, spiega Latini. “Ho cercato, come Pasolini, di guardare da vicino, di mettermi davanti ai volti, agli occhi, ai dettagli per scoprire l’umanità”.
Teatro e spiritualità
Cosa spinge Latini a confrontarsi oggi con il Vangelo secondo Matteo e con Pasolini? “Pasolini non era una persona religiosa, ma sicuramente spirituale. In quel film ha dimostrato che lo spirito passa anche attraverso le immagini e i corpi. Credo che questo sia lo stesso compito del teatro: far incontrare le persone spiritualmente, oltre che fisicamente”.
Non si tratta di religiosità confessionale, ma di dimensione spirituale dell’esistenza: la capacità di guardare oltre il visibile, di cercare un senso che trascende l’immediato. “L’attore che entra in scena è sempre un messaggero: porta la sua parola da un altrove misterioso, come gli angeli”.
La scelta dei direttori artistici del Teatro Olimpico, Ermanna Montanari e Marco Martinelli, di inserire “Ànghelos” nel cartellone è un “segnale forte”: puntare i riflettori sullo spirito come condizione necessaria in tempi oscuri. Dopo i canti polifonici del Mediterraneo di “Veni, a goodbye” del gruppo Alot, ecco addentrarsi nel mistero. È una scelta coraggiosa in un’epoca che tende a ridurre tutto alla dimensione materiale: proporre il Vangelo significa affermare che c’è una dimensione dell’esistenza che chiede contemplazione, interrogazione, apertura al mistero.
Quando gli viene chiesto cosa significhi per lui questo mistero, Latini risponde: “Spero ogni volta di esservi ammesso, quando inizia lo spettacolo. In tempi così pesanti, abbiamo bisogno estremo di guardare in alto, più in alto che possiamo”. Guardare in alto non significa evadere dalla realtà, ma cercare una prospettiva diversa, una speranza che non si arrende. Gli angeli non sono figure consolatorie, ma interrogazioni radicali, presenze che scuotono, domande che non danno risposte facili.
Verso l’integrale e oltre
“Ànghelos” è solo l’inizio di un progetto più ampio: tra circa un anno Latini porterà in scena l’integrale del Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Questo primo lavoro, concentrato sulle apparizioni angeliche, fungerà da nucleo generatore per l’intera narrazione evangelica. Il Vangelo secondo Matteo del 1964 rimane uno dei capolavori del cinema italiano, capace di restituire al testo evangelico la sua forza eversiva, la sua radicalità, il suo appello alla giustizia. Riportarlo a teatro oggi significa farlo risuonare nella nostra contemporaneità.
Lo spettacolo, interpretato da Elena Bucci, Marcello Sambati, Luca Micheletti e dallo stesso Latini, si configura come un’esperienza che va oltre la rappresentazione per farsi esperienza spirituale. La forza sta nella capacità di tenere insieme fedeltà al testo pasoliniano e libertà di rielaborazione, rispetto per la tradizione e apertura al contemporaneo.
“Chi cercate?”. La domanda rimane aperta, sospesa nell’aria del teatro. E forse è proprio questo il dono più grande: non dare risposte, ma insegnare a porre le domande giuste. In un’epoca di disincanto, “Ànghelos” osa riportare al centro della scena la dimensione del mistero, non con nostalgia ma con la consapevolezza che guardare in alto è modo per abitare la realtà più profondamente, più umanamente, più speranzosamente.