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15 Dicembre 2022L’accordo riguarda anche gli affreschi di Piero della Francesca e Casa Vasari
Salvatore Mannino
Arezzo Non succederà più, si spera, che gli affreschi di Piero della Francesca restino chiusi nel giorno, il 12 ottobre, in cui ricorre il cinquecentenario della morte del gigante del Rinascimento. Con le inevitabili proteste e i mugugni dei turisti rimasti fuori dalla basilica aretina di San Francesco che racchiude il ciclo della Leggenda della Vera Croce. Non succederà più perché nasce l’alleanza fra il Comune di Arezzo, la fondazione Arezzo Intour sua emanazione, e la direzione regionale dei musei, annunciata in una conferenza stampa congiunta del sindaco Alessandro Ghinelli e del direttore regionale dei musei, Stefano Casciu.
Accordo che, nelle intenzioni, almeno, renderà più agevole l’accesso non solo agli Affreschi ma anche agli altri musei statali aretini, tra i quali ci sono autentiche perle come Casa Vasari, il palazzo che l’autore delle «Vite» si progettò e affrescò da solo nel cuore della città natale, il Museo Archeologico Mecenate, che ospita un gioiello come il Vaso di Eufronio, l’Anfiteatro romano e il Museo Medioevale, altro scrigno di grandi opere, in particolare dello stesso Vasari, che è stato a lungo virtualmente chiuso per mancanza di personale.
Ma il pezzo pregiato dell’intesa è ovviamente quello della Leggenda di Piero, patrimonio dell’umanità di fatto anche se la procedura per il riconoscimento da parte dell’Unesco è ancora in corso, affollato ogni anno da decine di migliaia di turisti, visitato ed amato da grandi artisti e scrittori, come Balthus e il Nobel Saramago. Il patto siglato prevede che, come per gli altri musei statali cittadini, la gestione della biglietteria, la promozione e il bookshop passino alla Fondazione Intour, insieme a una parte del personale. Resteranno pubbliche invece, sorveglianza e sicurezza.
Il primo obiettivo è aumentare i giorni di apertura, gli orari e di conseguenza le presenze. Ma l’intero sistema museale aretino diventerà più elastico, senza le rigidità burocratiche che impedirono ad esempio di fare eccezione alla chiusura del mercoledì nell’anniversario della morte di Piero. Nell’ultimo anno prima del Covid, i biglietti staccati per la Leggenda di Piero furono quasi 80 mila, eppure le proteste di quelli che il capolavoro non riescono a vederlo non sono mai mancate. Questa rivoluzione potrebbe aprire una nuova era, anche nei numeri.
Non a caso i protagonisti salutano l’accordo come un salto di qualità: «Quello che annunciamo oggi è un accordo che possiamo definire storico — dice Ghinelli — l’intera città si aspetta, non solo e non tanto un aumento della presenza turistica, quanto soprattutto la crescita del suo livello». E Casciu incalza: «Intendiamo collegare ancor più strettamente la gestione e la valorizzazione dei musei statali aretini, scrigni preziosi di valore universale, al territorio del quale sono espressione diretta».
Arezzo Intour è una Fondazione in partecipazione, socio Fondatore il Comune di Arezzo ma aperta ad atri enti pubblici e privati.
L’avevamo proposta una fondazione pubblico-privata per la cultura e il turismo e rimane ancora, più che mai valida nonostante le sordità della giunta De Mossi. Ora, con la pandemia in atto, mentre si invocano “cabine di regia” il tema torna rilevante. E ciò che sembrava una inutile, o superfluo, diventa dirimente. Per superare la crisi attuale è necessaria una struttura che metta insieme enti locali, Camera di commercio, guide, tour operator, Università, associazioni di categoria. A una limitazione operativa insita nel soggetto pubblico si aggiunge una impostazione chiusa dentro operazioni di facciata e molte contraddizioni su aspetti secondari, quando invece sarebbero necessarie vere strategie. L’abbiamo visto in questi giorni: si vogliono limitare le licenze di bar nel centro storico, ma poi si apre a quelle di vendita e somministrazione di generi alimentari e si fanno tante iniziative enogastronomiche con le bancarelle: si pretendono souvenir solo made in Tuscany ma senza rendersi conto che le leggi non lo permettono e che ormai barberi, bandiere e fazzoletti delle contrade sono fatti in Cina. Non si può ignorare che quasi tutti i souvenir provengono dall’Oriente e, sopratutto, per innalzare la qualità dell’offerta commerciale bisognerebbe cambiare quella del turismo. Se ci rivolgiamo solo a escursionisti frettolosi, è ovvio che vorranno piccoli gadget a basso costo, e non si possono far chiudere i commercianti per il capriccio di un assessore. Cambiando geneticamente il tipo di visitatore ci sarà spazio per l’arte, l’artigianato locale, i vini del territorio, gli alberghi e i ristoranti, non solo per pizzerie a taglio e i venditori di kebab. Ma siamo punto e a capo: ci vuole un progetto per raggiungere questi obiettivi. È evidente che da questa situazione se ne esce con un distretto culturale evoluto di una dimensione ampia, che guardi alla continuità culturale dei territori piuttosto che ai campanili. Una fondazione dovrebbe essere il punto d’incontro tra pubblico e privato per definire il livello di eventi e dell’offerta commerciale, usando strumenti di comunicazione più evoluti e adeguati degli attuali. Sopratutto, con contenuti più profondi. Sinceramente si può fare molto di più e molto meglio dello slogan “Vieni a scoprire questo luogo meraviglioso”, che si vede nel sito delle Terre di Siena, talmente ovvio che potrebbe adattarsi a qualsiasi località turistica del mondo. Ma a questa approssimazione, si aggiunge un problema: non si può far finta che dopo la pandemia tutto tornerà come prima, ovvero l’invasione quotidiana di turisti, assecondati da raduni di auto, trenini, ruote girevoli e altre amenità. Del resto quel modello aveva già portato alla crisi molte attività economiche, con la permanenza media negli alberghi ormai ridotta a un giorno, e un drastico dimensionamento della spesa media giornaliera di ogni turista. Se il sindaco invoca progetti concreti e collaborazioni, per il bene della città, siamo qui a ribadire le nostre critiche costruttive ma anche la volontà a costruire qualcosa di sensato. Ma per farlo, bisogna essere almeno in due.
Proposta da Per Siena nel 2020, portata in commissione e rifiutata dalla maggioranza e da Tirelli che puntava tutto sul Convention Bureau Terre di Siena e si è vista la fine…