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Nel cuore dell’estate finanziaria italiana si gioca una partita cruciale, che intreccia manovre di mercato, assetti di potere, controlli istituzionali e indagini giudiziarie. Tutto ruota attorno alla vendita del 15% del Monte dei Paschi di Siena, effettuata lo scorso novembre dal Ministero dell’Economia. L’operazione, gestita da Banca Akros, ha visto l’ingresso nella banca senese di quattro soggetti: Banco Bpm, Anima Sgr, Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin (la holding della famiglia Del Vecchio). Un’operazione che ha immediatamente sollevato interrogativi e che ora è finita sotto la lente della procura di Milano.
I magistrati vogliono capire perché, a fronte di centinaia di manifestazioni di interesse, il pacchetto azionario sia stato ceduto solo a quei quattro soggetti. A destare sospetti è anche la modalità con cui è stata condotta l’asta, la cosiddetta “accelerated bookbuilding”, che solitamente coinvolge grandi operatori internazionali. In questo caso, però, l’operazione è stata affidata a Banca Akros, una realtà di dimensioni ridotte e direttamente controllata da Banco Bpm, uno dei vincitori della gara.
Le indagini, affidate alla Guardia di Finanza, puntano a far luce su possibili irregolarità: aggiotaggio, manipolazione del mercato, insider trading, ostacolo alla vigilanza. Non si esclude che i soggetti coinvolti abbiano agito “di concerto”, violando le regole italiane ed europee sui patti occulti tra azionisti. Un sospetto che trova fondamento nel fatto che, nei mesi successivi all’acquisizione, questi attori si sono mossi in modo coordinato anche in altre operazioni, come l’offerta pubblica di scambio lanciata da Mps su Mediobanca.
È proprio qui che la vicenda si allarga e si complica. Il tentativo di Mps, oggi partecipata all’11% dallo Stato, di conquistare Mediobanca, si inserisce in un contesto di scontro aperto per il controllo del sistema finanziario italiano. Da un lato, l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, sostenuto dai grandi fondi internazionali. Dall’altro, la cordata formata da Caltagirone, Delfin, Banco Bpm e Anima, sostenuta indirettamente anche da alcune casse previdenziali e, secondo indiscrezioni, da Unicredit. Questi ultimi, nel giro di poche settimane, hanno rafforzato la propria presenza nel capitale di Mediobanca, superando complessivamente il 40%.
Lunedì prossimo si terrà l’assemblea decisiva: i soci saranno chiamati a votare sull’offerta lanciata da Mediobanca per acquisire Banca Generali. L’esito è incerto, e potrebbe ridefinire la mappa del potere bancario in Italia, ma anche spianare la strada all’ingresso dei nuovi azionisti in Generali, il colosso assicurativo italiano.
Nel frattempo, l’Unione Europea osserva con attenzione. La Commissione ha chiesto chiarimenti al governo italiano sull’uso del “Golden power” – il meccanismo che consente allo Stato di bloccare operazioni strategiche – nella scalata di Unicredit su Banco Bpm. Bruxelles vuole capire se le limitazioni imposte siano proporzionate e compatibili con il diritto europeo. In particolare, sono oggetto di verifica i vincoli sugli investimenti in titoli italiani, il divieto di dismettere attività e il mantenimento del rapporto tra impieghi e depositi sul territorio nazionale.
La questione, dunque, non è solo finanziaria. È anche politica e istituzionale. Le opposizioni chiedono trasparenza e denunciano il ritorno di logiche opache. Il Partito Democratico parla di “vendita ambigua”, mentre il Movimento 5 Stelle accusa il governo di aver favorito “i nuovi furbetti del quartierino”. Il governo, da parte sua, difende la correttezza dell’operazione e sostiene la legittimità delle sue scelte.
In questo scenario, Monte dei Paschi da punto di partenza è diventato snodo centrale. Da qui passano le ambizioni dei nuovi azionisti, le strategie del governo, le resistenze del sistema bancario tradizionale e le preoccupazioni delle autorità europee. Il rischio, però, è che dietro le manovre e le sigle si perda di vista il vero tema: il futuro del credito in Italia, il suo controllo, e soprattutto l’interesse generale.