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Colpo di stato bianco in Bangladesh, all’indomani della più sanguinosa giornata di proteste delle ultime settimane. La premier Sheikh Hasina, 76 anni, si è dimessa e con la sorella minore ha lasciato il Paese, portata in elicottero ad Agartala, appena oltre confine nello Stato indiano del Tripura. Figlia del padre della patria Sheikh Mujibur Rahman che nel 1971 guidò il Paese all’indipendenza dal Pakistan e fu assassinato in un colpo di Stato nel 1975, Sheik Hasina era stata rieletta quest’anno per il suo quinto mandato, il quarto consecutivo.
In un discorso alla nazione trasmesso in diretta televisiva, il capo dell’esercito, generale Waker-Uz-Zaman, si è assunto «la piena responsabilità» del cambio di regime e ha dichiarato l’intenzione di formare un governo ad interim. « Il Paese ha sofferto molto, l’economia è stata colpita – ha detto –, molte persone sono state uccise: è ora di fermare la violenza». «Se la situazione migliora, non c’è bisogno di interventi d’urgenza » ha aggiunto, assicurando che le nuove autorità «perseguiranno tutti gli omicidi» avvenuti durante le proteste. «Ora il compito degli studenti – ha esortato – è quello di mantenere la calma e aiutarci». Il generale ha detto di avere parlato con i partiti dell’opposizione e che avrebbe incontrato in giornata il presidente Mohammed Shahabuddin nella speranza di arrivare a una «soluzione » rapida. Già in serata, i bangalesi hanno ricevuto la bella notizia che da stamani all’alba è revocato il coprifuoco e che oggi riaprono le scuole e tutte le attività. Il presidente ha ordinato la scarcerazione dell’ex premier e capo dell’opposizione Khaleda Zia. Nominato capo di stato maggiore a inizio anno, il generale Zaman è un ufficiale di fanteria che ha trascorso quasi quarant’anni nelle forze armate, prestando servizio anche come peacekeeper dell’Onu. Subito dopo il suo discorso, le televisioni hanno mostrato migliaia di persone che si riversavano esultanti nelle strade
della capitale Dacca. Sono andate in diretta anche le immagini dell’assalto alla residenza ufficiale della premier, con i saccheggiatori che s’impossessavano di poltrone, televisori e tavoli. In piazza, c’era chi si arrampicava sull’enorme statua di Sheikh Mujibur Rahman per scalzarla. Ed è stata abbattuta.
Erano settimane che i dimostranti del Movimento studentesco per l’uguaglianza protestavano contro il governo. Negli ultimi giorni i loro leader avevano dichiarato che non si sarebbero fermati fino alle dimissioni della premier. Domenica erano tornati in strada sfidando il coprifuoco: negli scontri con le forze dell’ordine si sono contati 94 morti. Altre 56 persone sono rimaste uccise ieri: le autorità non hanno divulgato i dettagli, ma avrebbero tutte ferite da arma da fuoco. Testimoni e poliziotti hanno raccontato di attacchi per vendetta tra gruppi rivali. Dall’inizio delle violenze, nell’ultimo mese, le vittime sono almeno 350. All’origine delle proteste c’è la legge sulle quote, ripristinata dalla Corte Suprema, che riserva il trenta per cento dei posti di lavoro nel pubblico impiego alle famiglie dei reduci della guerra di indipendenza del 1971: per gli studenti e per l’opposizione, si tratterebbe di un regalo ai filogovernativi. Secondo stime diffuse dalla Bbc, su una popolazione di 170 milioni di abitanti, nel piccolo Bangladesh (il Paese con la più alta densità di abitanti al mondo: 1.183 per chilometro quadrato, in Italia sono 195), circa 18 milioni di giovani sono senza lavoro. Il tasso di disoccupazione è particolarmente elevato fra i laureati. Ma lo scontento attraversa l’intera società, scossa da una rapidissima crescita economica di cui si è avvantaggiata una minima parte della popolazione e che ha scavato ancora più a fondo nel baratro delle disuguaglianze. La protesta, partita dagli studenti, si è allargata ad altre fasce sociali. La premier ha rifiutato il dialogo, liquidando i promotori delle manifestazioni come terroristi destabilizzatori. Polizia e coprifuoco. Bloccato anche Internet. Domenica il responsabile Onu per i diritti umani, Volker Türk, aveva chiesto a Dacca di porre fine alla violenza e «rilasciare immediatamente coloro che sono detenuti arbitrariamente».
L’India, accogliendo la dimissionaria Sheikh Hasina, ha emanato un’alta allerta lungo tutti i 4.153 chilometri di confine che la separano dal Bangladesh, 3.000 dei quali sono blindati dal quinto muro più lungo del mondo. Sotto la leadership di Narendra Modi, New Delhi è diventata la migliore alleata di Dacca, che l’ha aiutata a reprimere le attività di diversi gruppi anti-indiani presenti sul proprio territorio. L’ultima visita di Sheik Hasina nella capitale indiana risale al giugno scorso, quando con il premier Modi firmò una serie di accordi di collaborazione nei settori della difesa, della sicurezza marittima, dello spazio e delle telecomunicazioni.