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7 Settembre 2025Non si sono mai incontrati, ma ora alcune loro opere saranno affiancate in mostra a Milano . Perché hanno molto in comu-ne: uno ha capovolto i ritratti , l’altroha tagliato le tele . L’ar-tista tedesco: «Anche dal vuoto emerge qualcosa di nuovo»
di stefano bucci
«Ammiro profondamente il tipo di fascino e intelligenza che lo hanno contraddistinto, ma non riesco a farli miei». Dalla sua casa-studio (progettata da Herzog & De Meuron) affacciata sull’Ammersee, lago dell’Alta Baviera, Georg Baselitz racconta così l’essenza della mostra che dal 20 settembre lo metterà letteralmente faccia a faccia con Lucio Fontana. Un confronto alla pari, non uno scontro. Ma neppure l’omaggio dovuto di un maestro (del contemporaneo) a un altro maestro (del moderno). L’esposizione che inaugura i nuovi spazi della Thaddaeus Ropac Gallery di Milano (che già annuncia anche il prossimo appuntamento con l’accoppiata al femminile Valie Export & Ketty La Rocca, dal 26 novembre) mette in scena un dialogo immaginario tra Hans-Georg Kern, nato nel 1938 a Deutschbaselitz, in Sassonia, universalmente noto come Georg Baselitz (pseudonimo che appare come un omaggio evidente alle sue radici), uno degli artisti tedeschi più famosi e prolifici, «aggressivo e inquietante» come è stato definito, sempre e comunque un maestro «scandaloso», e Lucio Fontana (1899-1968), uno dei più importanti protagonisti della scena artistica internazionale del XX secolo.
«Ho studiato Fontana a Berlino, dove era molto presente: l’ho sempre considerato l’anti-immagine sotto la frusta di Duchamp»: con il suo consueto stile asciutto, Baselitz racconta l’inizio del legame con Fontana, un legame che ancora oggi in qualche modo continua sotto il segno di Duchamp: «Attraverso l’inversione dei miei soggetti, ho pensato di essermi liberato dall’imbarazzo della pittura tradizionale, come aveva fatto Duchamp con la sua Pharmacie», il primo ready made della storia. La citazione di Marcel Duchamp, figura fondamentale dell’arte concettuale, del rifiuto delle immagini tradizionali e della tensione verso l’anti-immagine, conferma il collegamento tra queste due visioni rivoluzionarie, dal momento che Fontana con le sue fenditure si era distaccato dalla pittura classica aprendo uno spazio nuovo, simbolo di un infinito ancora da esplorare.
L’Italia ha da sempre svolto un ruolo importante nel lavoro di Baselitz (appassionato collezionista di stampe del periodo manierista e che in cucina tiene un’opera di Emilio Vedova): fino al 1987 ha avuto uno studio a Castiglione Fiorentino, vicino ad Arezzo, mentre attualmente ne ha uno a Imperia. Nel 2019 Baselitz è stato anche il primo artista vivente a esporre alle Gallerie dell’Accademia di Venezia con la mostra Baselitz-Academy, incentrata sull’evoluzione della sua pratica artistica e sul suo interesse per le accademie: «Non c’è stata un’influenza particolare di Milano e dell’Italia in generale nel mio lavoro — precisa però Baselitz —. Ma ho esposto alla Galleria Christian Stein di Torino, il che è stato importante, una mostra che doveva essere una sorta di incontro di pugilato tra l’Arte Povera e il povero Baselitz».
Portare oggi Fontana a Milano, la città in cui ha vissuto e lavorato e dove nel 1931 ha esposto per la prima volta, accanto alle opere recenti di Baselitz, significa comunque, per Elena Bonanno di Linguaglossa, direttrice della nuova galleria, «rinnovare un dialogo ideale e profondo tra due artisti che, pur non essendosi mai incontrati, hanno condiviso una tensione comune, quella di aprire lo spazio dell’arte a nuove dimensioni». Una condivisione che, confessa Baselitz, è fatta anche di una frequentazione continua, quotidiana: «Possiedo due meravigliosi angeli dorati di Fontana, più grandi del reale. Sono affascinato dai tagli, naturalmente, ma anche dai suoi titoli, che ho sempre associato a L’Origine du Monde di Gustave Courbet». Perché se Fontana «taglia una fessura al centro della sua tela e immerge lo sguardo dello spettatore nell’oscurità», Courbet a sua volta trasforma «la fenditura in una visione del cielo, dell’eternità».
I vuoti oscuri al centro dei dipinti di Baselitz (11.240.000 dollari il suo record d’asta per Dresdner Frauen-Besuch aus Prag del 1990 battuto nel 2022 da Sotheby’s a New York) e i tagli di Fontana (il suo record d’asta è di 29.173.000 dollari stabilito nel 2015 da Christie’s New York per un Concetto spaziale. La fine di Dio del 1963) diventano così entrambi simboli di una possibilità. Perché, come dice Baselitz, «il nero del taglio apre a un barlume di speranza, ricordandoci come anche dal vuoto può emergere qualcosa di nuovo». Baselitz oltretutto conferisce alle sue opere titoli in cui coglie spesso l’occasione per giocare con le parole, a volte denotando un riferimento o un’idea, altre volte rappresentando un frammento di conversazione quotidiana, in cui molto spesso proprio Fontana viene nominato (Arriva: La scuola di Lucio, 2019). Una pratica utilizzata proprio per il titolo della mostra, L’aurora viene, che è anche il titolo di un’opera di Baselitz del 2015, a sua volta ispirata ai tagli di Fontana: «Un centro oscuro che — nelle intenzioni dell’artista tedesco — vuole diventare apertura, spiraglio, possibilità».
Che opere porterà in mostra? «Non ci sono opere molto recenti, ma sperimentazioni per me molto audaci, inaspettate, dadaiste, sperimentazioni fontanesche». Nessun omaggio alla tradizione italiana? «La tradizione è una cosa meravigliosa se si ha la fortuna di vedere il passato e tutte le madonne dorate. A un certo punto, ho capito che non ero quel tipo di pittore e ho fatto altre cose, come mettere le Milchkrug (il titolo di una serie di opere della fine degli anni Ottanta, ndr) a testa in giù».
La mostra rende visibile una conversazione silenziosa tra due grandi maestri, concentrandosi non solo sui tratti formali delle opere, ma anche sulla loro filosofia, sulla poetica sottostante e sui loro messaggi nascosti: «Da quando la pittura è stata dichiarata morta — aggiunge Baselitz —, ci sono molte persone che utilizzano e creano dipinti, cosa che trovo molto rassicurante. Ci deve essere qualcosa di interessante nel creare immaginari, immagini di cose che prima erano invisibili».
Da sempre appassionato anche di Maurizio Cattelan, Willem de Kooning, Richard Prince, Christo, naturalmente di Emilio Vedova e più di recente dell’arte africana, come vive oggi Baselitz (che nei suoi quadri si era permesso di «capovolgere» addirittura Stalin e Lenin) il suo rapporto con l’arte in generale? «Dal momento che ero uno studente mediocre, mi sono dedicato molto allo studio della storia dell’arte tedesca, italiana, asiatica e americana, e ho trovato cose meravigliose in tutti questi ambiti. Il mio percorso è un po’ insolito perché penso di avere poco a che fare con il cosiddetto modernismo. Oggi altri stanno formulando un’ideologia completamente assurda che mette in relazione la pittura con la provenienza, il genere, l’età, eccetera».
Sebbene i due artisti non si siano mai fisicamente incontrati appare evidente come Fontana abbia esercitato un ruolo fondamentale nel lavoro di Baselitz («L’interpretazione? Non è di nessuna utilità per un artista alla mia età, si tratta più che altro di un confronto intellettuale, senza nessuna dipendenza»). La «sua» selezione include una nuova scultura monumentale in bronzo (Cowboy, 2024) insieme a una recente serie di dipinti caratterizzati da composizioni e da figure sospese che sembrano emergere da fondali oscuri (Rosa riposa, 2109). Dall’altra parte Fontana, che ha vissuto e lavorato per gran parte della sua vita a Milano e che qui nel 1931 aveva esposto per la prima volta le sue opere, viene raccontato attraverso una serie di sculture barocche databili dal 1937 sino agli anni Cinquanta (Guerriero, 1953) oltre a una selezione di Concetti spaziali e alcune Attese realizzate a partire dagli anni Sessanta, accanto a esempi significativi dei Gessi (1954-1958) e Inchiostri (1956-1959) e a una rara Fine di Dio (1963-1964) «che con la sua forma ovale rappresenta l’infinito, l’inconcepibile, l’inizio del nulla».
Nel 1969 Baselitz aveva iniziato a dipingere le sue composizioni a testa in giù, una scelta che è stata il suo modo di sfidare le convenzioni di un mezzo, quello della pittura, che all’epoca era considerato ormai irrimediabilmente convenzionale. Una scelta che si lega alla fascinazione esercitata su di lui proprio dall’opera di Fontana che l’artista tedesco definisce «inconcepibile senza forma» mentre le sue inversioni «vogliono svuotare la forma del suo contenuto». Una vicinanza che li ha portati ad affrontare in parallelo il tema dell’ignoto, dell’invisibile e dell’infinito con approcci diversi, ma convergenti in alcuni aspetti fondamentali.
Punto essenziale del percorso comune di Fontana e Baselitz è il rapporto dell’arte con il tempo presente: «Non credo si possa parlare di affrontare le sfide del nostro tempo attraverso l’arte — conclude Baselitz —, c’è sicuramente grande costernazione per quello che succede e ci sono circostanze sfortunate, come le guerre e i conflitti, che pensavamo fossero ormai cose del passato». Nel 1956, il giovane Georg era stato espulso dalla Hochschule für Bildende Künste di Berlino Est per «immaturità socio-politica». Cosa consiglierebbe allora a un giovane che volesse oggi cimentarsi con l’arte: «Non dare ascolto agli altri, non farlo mai!».