La “Distruzione pubblica” e il ridicolo concetto di arte
10 Luglio 2022Cangiano, l’Europa tra civiltà e civilizzazione
10 Luglio 2022di Valeria Crippa
«Non ho mai conosciuto di persona Pier Paolo. Nonostante ciò, è diventato un mio compagno di strada, di vita, di pensiero. E di danza». Nell’ultimo scorcio della sua vita, Maurice Béjart raccontava di aver inserito Pasolini nel pantheon dei maestri che alimentavano la sua vasta cultura improntata a un gigantismo ecumenico in cui convivevano buddhismo, cristianesimo, ebraismo, islam sciita, la letteratura di Petrarca e di Goethe, il cinema di Chaplin, Fellini, Godard, Lang e, appunto, Pasolini. Nel 1992 — quindici anni prima della morte avvenuta a Losanna il 22 novembre 2007 — il carismatico coreografo marsigliese che aveva rivoluzionato la danza, catapultandola nelle arene dello sport, firmò due lavori dedicati a Pasolini, Opera (liberamente ispirato al film del 1966 Uccellacci e uccellini) e il duetto Episodes per la coppia di stelle Sylvie Guillem e Laurent Hilaire.
Il ’92 segnò una svolta per Béjart: l’ennesimo cambio di pelle della sua compagnia, dopo la chiusura, a Bruxelles, dell’avventura trionfale del Ballet du XX Siècle, da lui fondato nel 1959, e la creazione, in Svizzera, del Béjart Ballet Lausanne (Bbl). Nel ’92 Béjart decise di snellire l’organico della compagnia e di fondare l’École Atelier Rudra per la quale creò il pasoliniano Opera di cui si vedrà un estratto il 15 luglio a Ravenna Festival dove la compagnia manca da 18 anni. Il tour italiano del Bbl (il 19 luglio aa Genova al Nervi Music Ballet Festival con Boléro e, dal 14 al 17 settembre, al Palazzo dell’Arsenale di Torino) potrebbe preludere a una nuova svolta per la compagnia, come racconta a «la Lettura» il direttore artistico Gil Roman, ex danzatore pupillo di Béjart che, dalla sua morte, gestisce lo sterminato repertorio del maestro. «A Ravenna — dice — proporremo un duetto “pasoliniano” divertente intitolato Les moines (I monaci), cui seguirà un secondo omaggio in ricordo di Micha van Hoecke, straordinario artista che assunse la direzione della scuola del Mudra: lavorando al fianco di Béjart si era imbevuto del suo mondo culturale. Lo conobbi nel 1979, a Bruxelles: su di lui Béjart aveva creato il ruolo di Offenbach in Gaîte parisienne, ora lo interpreta l’italiano Mattia Galiotto».
A distanza di 15 anni dalla morte di Béjart, come recepisce la sua assenza?
«L’assenza è vuoto, Maurice mi manca ogni giorno nel mio cammino solitario. Con la compagnia lavoriamo sulle sue coreografie, di cui trasmetto tutto ciò che posso. La sua assenza si manifesta a livello relazionale e personale, più che artistico. Il suo spirito è là, perché si lavora sulla sua materia creativa. A Ravenna e Nervi presenteremo t’M et variations, una coreografia che ho creato nel 2016 come un diario di viaggio intorno al mondo di Béjart. L’idea è di mandare notizie a Maurice attraverso la danza, come le pagine di un giornale a lui indirizzato: news sui ballerini di oggi, sulla loro personalità».
E come sono i danzatori d’oggi?
«A vent’anni sono attirati da molte sirene esteriori. Come tutti, d’altronde, sono spesso attaccati ai cellulari. E questo rende difficile concentrazione e approfondimento. Però le personalità ci sono: la sfida è adattarsi alla società e trarne il meglio».
Il 2021 è stato un «annus horribilis» per la compagnia e la scuola, investite da uno scandalo mediatico per abusi di potere e nepotismo. Ora si attende una nuova «governance».
«Sì, il Comune di Losanna vuole nominare un direttore generale, non so chi. Per ora continuo a lavorare in attesa degli eventi. C’è stata un’inchiesta, ero d’accordo in linea di principio, sfortunatamente è stata trasformata in un’audizione sul passato, sono stati sentiti danzatori che avevo messo alla porta e che si sono presentati da vittime a sproloquiando sul mio conto e sulla compagnia. La situazione è stata chiarita».
Il destino dell’École Atelier Rudra?
«Al momento, la scuola è chiusa ed è in discussione, il Comune di Losanna deciderà cosa farne. Noi eravamo pressoché autonomi con la Fondazione Béjart che sosteneva i bisogni dell’École. Oggi la situazione è cambiata, bisognerà prendere decisioni dopo aver stabilizzato la compagnia».
Quale futuro, dunque, per il Béjart Ballet Lausanne?
«Non ho la sfera di cristallo: dipenderà dalla volontà dei politici, se conservare o no la compagnia. Anche se tutti ne riconoscono il valore artistico».
Se mancasse il sostegno politico, ipotizza il trasloco della compagnia?
«Tutto è possibile».
https://www.corriere.it › la-lettura