Autunno 1912. Costantin Brancusi, Marcel Duchamp e Fernand Léger visitano l’Exposition de la Locomotion Aérienne al Grand Palais di Parigi. I tre si aggirano in silenzio tra le meraviglie dell’aeronautica, finché, giunto di fronte a una grande elica di legno, Duchamp si volta verso Brancusi ed esclama: «La pittura è finita. Chi saprebbe fare di meglio di questa elica? Di’, tu ci riusciresti?». C’è qualcosa di leggendario, di fiabesco quasi, in questa scena dei tre artisti di fronte all’oggetto-simbolo di un grande mito modernista, il volo meccanico, soprattutto quando si pensa a quali suggestioni l’elica doveva suscitare in personalità così differenti: una scultura che incorporasse il volo e la luce, la materia e lo spazio, per Brancusi, un’arte adatta alla nuova età della macchina per Léger, l’abbandono della pittura a favore del readymade per Duchamp.
Oggi, di fronte alle opere raccolte nella splendida retrospettiva di Brancusi in corso al Centre Pompidou di Parigi, appare chiaro come la sfida lanciata da Duchamp sia stata non solo raccolta ma addirittura rilanciata in avanti, grazie a una rivoluzionaria sintesi plastica al cui centro sta una concezione della scultura interamente nuova. L’allestimento della mostra sottolinea bene d’altro canto la straordinaria coerenza della parabola creativa di Brancusi (o Brâncu?i, secondo l’originale grafia romena), il suo accanito, pluridecennale lavoro su un numero tutto sommato ristretto di motivi, sottoposti però a un ininterrotto processo di affinamento formale e a ripetute verifiche in materiali diversi – legno, marmo, bronzo ecc. Le stazioni tematiche del percorso espositivo guidano il visitatore attraverso le diverse fasi della sua opera, affiancandovi una selezione di documenti, fotografie e filmati provenienti dall’archivio dell’artista, un insieme di grande valore che getta luce sulla pratica di Brancusi, le sue amicizie, i suoi gusti, le sue letture, restituendo un’immagine lontana dal cliché del genio selvatico e un po’ misantropo.
Se intorno al 1910 le prime variazioni in marmo e in bronzo sulla figura della Maiastra, leggendario volatile del folklore romeno, si presentano con volumi fortemente semplificati ma ancora riconoscibili – corpo rotondeggiante, collo allungato, becco aperto –, nel corso dei due decenni seguenti Brancusi sottopone le forme a un processo di radicale e progressiva semplificazione, stirandole in senso verticale e assottigliandole fino a ottenere, come nello straordinario Uccello nello spazio (1941), una silhouette slanciata, simile a una fiamma guizzante pronta a spiccare il volo da un basamento di minerale consistenza geometrica.
Brancusi lucida il sottile volume di bronzo dell’Uccello sino a renderlo specchiante e a farlo apparire come un vibrante fascio luminoso in levitazione. Questa specifica qualità riflettente ricorre in tutta la sua produzione e ha una funzione essenziale. Per millenni la scultura occidentale si era misurata col corpo umano, la sua struttura, le sue proporzioni. Tanto in epoca classica che dal Rinascimento in avanti, le forme scultoree dovevano manifestare infatti l’interna articolazione delle membra – lo scheletro, i muscoli – e il loro rapporto organico con l’unità corporea, ovvero con l’energia fisica e mentale che la animava. I volumi essenziali di Brancusi – gli ovoidi astratti de Il neonato II (1923 ca.) o le allusioni biomorfiche di Leda (1926) e Il gallo (1935), ad esempio – sono al contrario indifferenti a ogni “profondità” e si presentano come pure superfici riflettenti, ipersensibili alla loro collocazione nello spazio. In L’origine del mondo (1924), un levigatissimo “uovo” bronzeo appare deposto quasi in orizzontale su un disco metallico anch’esso specchiante (a sua volta issato su una base dalle massicce forme organiche), così da suggerire la posizione di una testa a riposo. Non ci troviamo però, come ha osservato Rosalind Krauss, di fronte a un frammento da riconnettere mentalmente a un “corpo”, ma a una forma autosufficiente che non rinvia più alla totalità di una “figura”. Il metallo lucido riflette e distorce al tempo stesso l’immagine dell’ambiente circostante e di chi le si avvicina. Animata da questo gioco di riflessi instabili – perfettamente colto dalle fotografie e dai film che lo stesso artista realizzava nel suo celebre atelier a Montparnasse, distrutto e poi ricostruito ai piedi del Centre Pompidou – la scultura diventa, come Brancusi stesso la definiva, “una forma in movimento” ormai slegata da ogni riferimento alla struttura anatomica, proiettata al di là di sé stessa dal mutevole gioco della luce: una entità astratta, unitaria, indecifrabile.
Dagli esordi influenzati da Rodin e dalla scultura “primitiva”, alle sperimentazioni sulle forme del volto umano e del corpo animale, al rapporto tra maschile, femminile e androgino – visibile ad esempio nelle “scandalose” forme falliche di Principessa X (1915-16) e di Torso di ragazzo (1916 ca.) –, alla nuova funzione conferita alla “base”, al ruolo dei diversi materiali, del movimento e della luce, sino alla monumentale struttura seriale della Colonna senza fine realizzata negli anni 30, la mostra parigina ben evidenzia la complessità e insieme la grande coerenza intellettuale dell’opera di Brancusi, la cui eredità sarà raccolta solo a metà anni 60 dalla generazione degli artisti minimalisti, che seppero cogliere e sviluppare lo straordinario potenziale di una forma tridimensionale concepita come manifestazione di una superficie in rapporto fenomenologico con lo spazio reale.
A un secolo di distanza, l’opera di Brancusi continua a esercitare una fascinazione che va al di là del suo pure straordinario valore storico. Essa ci appare un esempio di energia innovatrice ancora incandescente, a disposizione di chi saprà rilanciarla nel futuro. Forse per questo a chi gli chiedeva nel 1927 cosa pensasse della morte dell’arte Brancusi rispondeva: «ma non c’è stata ancora un’arte. L’arte è appena iniziata!». E non fa che reiniziare.
Brancusi. L’art ne fait que commencer
A cura di Ariane Coulondre
Parigi, Centre Pompidou
Fino al 1° luglio
Catalogo Éditions du Centre Pompidou, pagg. 320, € 45