Antonio Grulli
In questi giorni di attesa della Biennale di Venezia, una delle mostre del momento in Italia è senza dubbio la grande esposizione personale di Anselm Kiefer a Palazzo Strozzi fino al 21 luglio. Si intitola Angeli caduti, ed è curata dal direttore dello spazio espositivo fiorentino Arturo Galansino. Spesso nel dibattito sull’arte di oggi vengono prodotte analisi e teorie secondo le quali nell’ultimo secolo si sarebbe prodotta una crasi rispetto alla grande arte dei secoli precedenti, una frattura che avrebbe portato all’assenza di grandi maestri viventi, all’eliminazione di termini come “capolavoro”, al ritenere gli artisti di oggi incapaci di un confronto con i giganti del passato. Mostre come quella di Kiefer, soprattutto quando sono realizzate in tale contesto, sono invece fondamentali proprio per dimostrare come vi sia una continuità, per provare come un confronto e un dialogo siano ancora possibili. La mostra di Firenze è estremamente differente da quella realizzata a Palazzo Ducale poco più di un anno fa, composta da installazioni site specific. Le stanze di Palazzo Strozzi, più semplici e neutre, accolgono un mix di lavori del passato e di nuova produzione, di dimensioni più contenute, con l’eccezione della grande e spettacolare opera nel cortile rinascimentale.
Come sempre il lavoro del maestro tedesco è un viaggio nelle grandi questioni centrali dell’essere umano, oggi come ieri e così nel tempo futuro. E questo viaggio lo si compie attraverso il mito, la grande letteratura, la memoria, la filosofia, la poesia: tutti elementi fondamentali per le opere di Kiefer, al pari del piombo, dei semi, dell’oro, della cera, della cenere, dei fiori, del colore che utilizza nelle sue installazioni senza limiti e nei dipinti debordanti la bidimensionalità.
Gli angeli caduti del titolo sono gli angeli che Dio ha cacciato dal Paradiso a seguito della loro ribellione. Sono un’immagine che ovviamente diventa metafora dell’umano e della nostra eterna ambiguità tra una condizione divina e il senso di perdita della stessa. Il grandissimo dipinto (740 x 850 cm) nel cortile ha per soggetto proprio il passo dell’Apocalisse che narra il combattimento tra l’Arcangelo Gabriele e gli angeli ribelli. Il quadro è diviso nettamente in due parti, con la metà superiore, spirituale, ricoperta d’oro e la parte sottostante in cui domina la materia brutale. Ma il centro di tutta l’opera è nell’indice dell’Arcangelo rivolto verso l’alto: un gesto, un segno, forse “il segno” per eccellenza, il “primo segno”, con cui “definiamo” le cose e il mondo attorno a noi sin da bambini, per tirare fuori qualcosa dal caos che ci circonda, un piccolo movimento carico di significati eterni e in grado di attraversare le culture e le civiltà.
Una delle sale che colpisce maggiormente è all’inizio della mostra e raccoglie le opere dedicate a Antonin Artaud e al suo libro dedicato a Eliogabalo, l’imperatore che cercò di imporre il culto di Baal – il dio del sole – come culto di stato. In questa sala spicca una grande tela dorata in cui svettano dei girasoli cupi attorno a uno dei quali si arrampica un serpente. A metà circa del percorso espositivo troviamo la spettacolare installazione Verstrahlte Bilder (Dipinti irradiati, 1983-2023): sessanta dipinti che ricoprono completamente le pareti e il soffitto di una grande stanza al cui centro, sul pavimento e leggermente rialzato, è posizionato un enorme specchio che riflette l’ambiente moltiplicando ulteriormente il caleidoscopio di opere.
Ma è la conclusione della mostra a esserne il climax: nell’ultima stanza sono esposte infatti quattro fotografie stampate su grandi lastre di piombo della celebre serie di fine anni sessanta in cui l’artista stesso, in vari luoghi europei occupati dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale e indossando la divisa della Werhmacht del padre, simula il saluto romano con il braccio sollevato. Le foto sono su tre pareti, mentre la quarta è occupata solo dalla celebre poesia di Salvatore Quasimodo Ed è subito sera, scritta sulla parete. Da qui si esce consapevoli di aver vissuto qualcosa di prezioso.
In questi ultimi anni, sotto la direzione di Galansino, il palazzo fiorentino è riuscito a diventare un luogo centrale nella geografia del contemporaneo in Italia, soprattutto per quel che riguarda le mostre dei grandi maestri dell’arte di oggi. Agli artisti di questo livello, dopo aver esposto in tutti i musei più importanti del mondo, partecipato a Biennali, collaborato con poeti, scrittori, filosofi, registi, lavorato con le gallerie più grandi (in Italia Kiefer è rappresentato da anni dalla regina Lia Rumma), cosa rimane da fare? L’unica risposta possibile è nel confronto con i grandi artisti del passato, e questa risposta porta con sé un paese e una storia: l’Italia. È all’Italia infatti che il mondo chiede di essere una grande piattaforma globale e sovrastatale di ricerca e sperimentazione, anche per il contemporaneo, e bisogna esserne consapevoli. Venezia, con la Biennale e con la sua capacità di attrarre grandi istituzioni straniere per l’arte, private e pubbliche, in questi ultimi anni lo ha ben compreso. Firenze, grazie a figure come Galansino o come il direttore del Museo del 900 Sergio Risaliti, sta seguendo lo stesso percorso virtuoso.