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di Lorenzo Madaro
Per il centenario della nascita, l’artista è al centro di una grande, definitiva mostra al Palazzo delle Esposizioni di RomadiLorenzo Madaro
Osservando Natura morta del 1946 si comprende all’istante dove siamo. Non è tanto – o almeno non è soltanto – Roma come luogo fisico, ma Roma come geografia culturale in cui Renato Guttuso ha costruito una sua grammatica post picassiana capace di coniugare il gusto per le forme ripensate con la tradizione e l’impegno politico. L’opera di una ventiduenne Carla Accardi è tra quelle che apre l’itinerario della esaustiva e imperdibile retrospettiva ospitata a Palazzo delle Esposizioni a Roma fino al 9 giugno, realizzata in stretta connessione con l’Archivio Accardi Sanfilippo e con il supporto della Fondazione Toti.
Le curatrici Daniela Lancioni e Paola Bonani l’hanno scelta, insieme a due autoritratti, rispettivamente del 1942 e del 1946, per sottolineare l’incipit del suo percorso, che nasce tra Firenze, dopo il trasferimento da Trapani, dove era nata, e si sviluppa pienamente a Roma. Una mostra impostata con un criterio cronologico, apparentemente consueto, ma che invece riesce a evidenziare la grande vocazione di Carla Accardi come sperimentatrice tenace, già dal 1947 – anno in cui è tra i fondatori di Forma 1 – fino alla sua scomparsa avvenuta dieci anni fa, con costanti aperture internazionali e Roma come epicentro di una vita e di un pensiero, come sottolinea il presidente di Palazzo delle Esposizioni, Marco Delogu, nella sua presentazione in catalogo. Un ampio apparato testuale, accompagnato da un repertorio vasto di immagini dell’archivio dedicato all’artista, restituisce ai visitatori delle sale della mostra una storia intensa di tappe, mostre, incontri e riconoscimenti in anni in cui per una artista donna tutto ciò non era assolutamente scontato.
È in quel fatidico 1947 che lei e i suoi compagni di strada firmano un manifesto che li allontanerà dal loro primo mentore e maestro, Guttuso: parlano in opposizione a un realismo « spento e conformista che nelle sue più recenti esperienze, in pittura e scultura, ha dimostrato quale strada limitata ed angusta essa sia». La frattura sarà insanabile. Lei, Antonio Sanfilippo, all’epoca suo compagno di vita, Pietro Consagra, Achille Perilli e altri si pongono così su un fronte della ricerca legata nella sua totalità all’astrazione, a differenza dei dettami propugnati all’epoca dal partito comunista guidato da Togliatti. Opere come Composizione eScomposizione, entrambe del 1947, rivelano l’attenzione per il colore, l’interesse per la scuola di Parigi, la geometria e la compenetrazione delle forme, che poi nei primi Cinquanta – come si evince dalla mostra – esplodono in un segno, vero e proprio alfabeto che di volta in volta Accardi ripensa, come una seconda pelle che reinventa di continuo rendendo il suo lavoro sempre riconoscibile e sempre nuovo. Circa cento opere riescono così a condensare militanza e visionarietà di una donna che è stata anche capace di instaurare dialoghi con artisti e curatori distanti dalla propria generazione, in una persistente osmosi che ha visto anche il suo studio di via Margutta quale crocevia di incontri ininterrotti, fino agli ultimi anni della sua vita. Lo ribadiscono alcune opere della sua collezione personale, ma anche la straordinaria antologia critica ragionata che le due curatrici hanno pubblicato nel poderoso catalogo Quodlibet di oltre 700 pagine: da Maurizio Calvesi a Hans Ulrich Obrist, da Anne Marie Boetti a Laura Cherubini e Germano Celant, da Luca Massimo Barbero a Luca Cerizza e Stefano Chiodi, utile strumento di studio nell’enorme galassia di tracce, segni, stratificazioni e avanzamenti dell’indagine di Carla Accardi fino alla maturità. La mostra propone diversi capolavori come Grande integrazionedel 1957 del Museo del Novecento di Milano, un bianco-nero mozzafiato e laTriplice tenda del 1969- 70 – opera nata dopo una visita al mausoleo di Galla Placidia a Ravenna – proveniente dal Pompidou di Parigi e che ben spiega un altro aspetto edificante del lavoro dell’artista, ovvero il desiderio di uscita dalla bidimensionalità e la capacità di reinventarsi attraverso nuovi materiali, ovvero il sicofoil, che dalla metà dei Sessanta per oltre un decennio le consente di riflettere sul segno in maniera ancor più emancipata, come rivelano alcune opere in mostra, con telaio a vista, giusto per ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, che alla Accardi interessava la pittura nella sua essenza concettuale, materica e di relazione con lo spazio. Trent’anni dopo con laCasa labirinto, un altro ambiente, questa volta in plexiglass, Accardi ci palesa non soltanto il continuo fluire della propria ricerca, ma anche quella capacità di sintesi che negli ultimi grandi dipinti – pensiamo aImbucare i misteri, proprio del 2014 – diventa parte definitiva di un alfabeto in grado di conservare al proprio interno memorie plurime, dalla scrittura araba dei luoghi della sua adolescenza siciliana, alle tracce casuali che si rincorrono nello spazio pubblico, alla virtualità di un mondo che non è più bidimensionale e manifesto ma, irrimediabilmente, certo, misterioso.