Si applica perfettamente a Florenskij la risposta che Solov’ëv, non a caso fra i suoi maggiori ispiratori, diede a chi gli chiedeva quale fosse il nucleo irradiante della sua opera: «In breve e propriamente parlando, io non ho una dottrina mia propria. Ma ritengo mio dovere chiarire da lati diversi, in forme diverse, l’idea centrale del Cristianesimo, l’idea del Regno di Dio» (Vladimir Solov’ëv).

Per quanto riguarda l’aspetto principale, non potrebbe essere che così: la figura di Pavel Florenskij si può ammantare di ogni significato, ma non si separa mai dal sacerdozio ortodosso. L’aspetto teologico permea ogni suo atto di riflessione. Non a caso, la sua opera sine qua non è uno dei maggiori contributi alla teologia e alla filosofia del ventesimo secolo, La colonna e il fondamento della verità (Rusconi, 1998). Tuttavia, anche nel quaderno dove trascrive i propri sogni, pubblicato ora da Aragno (Al confine dei mondi, «Biblioteca», introduzione, traduzione e note di Lucio Coco, pp. XXIV-96, euro 15,00), troviamo disseminate tracce che ci portano a quest’opera essenziale, non a caso l’unica del pensatore azero che si muova in un profilo, per certi versi, sistematico. Da questo punto di vista, a La colonna va aggiunto Il significato dell’idealismo (Rusconi, 1999).

Che cos’è precisamente Al confine dei mondi? Al di là dell’occasione per cui sono scritte, in queste brevi note Florenskij centra un obbiettivo fondamentale, già prefigurato nel giovanile e imprescindibile saggio su Amleto (Amleto, Bompiani, 2004): «La presenza di un’aspirazione filosofica implica eo ipso una certa conoscenza pre-concettuale, una conoscenza immediata, mistica dell’essere. Questa conoscenza non è un oggetto; il soggetto conoscente non può parlare della propria conoscenza, la conosce, come diceva Dostoevskij, “senza corrispondenza”, e tuttavia questa conoscenza non può non esservi. Così, il sostrato della dialettica è una mistica inconscia». Ecco, questa definizione di «mistica dell’inconscio» si applica perfettamente al libro dei sogni. Ciò che Florenskij persegue è il tentativo di cogliere l’immediatezza prima ancora che il pensiero si manifesti. Un’epifania dell’indicibile che, non a caso, si ricollega a Schelling e, in tal senso, teologia e filosofia si compenetrano a vicenda.

In molti, riguardo a Florenskij, hanno parlato di pensiero polifonico. Sacrosanta definizione, se pensiamo al modo in cui diverse discipline si intersecano nella sua opera: scienze, teologia, mistica, filosofia, iconologia, letteratura, se possono bastare. Ma questa diversità, contrariamente alle apparenze, non ha niente a che vedere con un presunto eclettismo. L’unità teologica di fondo trova nelle note di Al confine dei mondi, che, sulle prime, si presenta come un taccuino dei sogni, il compimento necessario. Il sogno per Florenskij è un grimaldello euristico, stappa la bottiglia delle conoscenze velate.

Attraverso lo sdoppiamento e il suo continuo duplicarsi, si può dire, senza tema di esagerare, che si palesa la verità: «Quando ti addormenti, allora subito ti accorgi che l’Io si duplica. Un io esiguo, piccino, dal punto di vista dell’altro Io, sembra lontano lontano, minuto, insignificante. L’altro Io, il soggetto morale, guarda verso di esso in maniera del tutto obiettiva, come verso uno straccio sporco». Alla fine del racconto di questo sogno, il pensatore azero dichiara di aver capito Fichte. Tuttavia Florenskij ha bisogno di trovare un fondamento a tale principio euristico. Di conseguenza appare un’altra grande eliminazione, quella di Kant. Al contrario del filosofo tedesco, egli non indica un’uscita dal principio dell’antinomia, anzi, l’antinomia è qualcosa che bisogna abitare, foriera di continue scoperte e di arricchimento dei punti di vista. Il pensiero polifonico trova in essa il suo radicamento.

Così esso diventa portatore di una geologia dell’anima, che si esprime in continue stratificazioni: «Stratificazioni acquose, verdi, fredde… Aliti di vento… E io che mi disfo in essi, mi perdo e scompaio». Servendosi dello strumento del sogno, le pagine di Al confine dei mondi costituiscono, dunque, una via d’accesso al suo pensiero. La «mistica dell’inconscio» si apparenta alla preghiera e alla confessione, che sono la più alta forma del sapere. Così, attraverso l’antinomia, mistica e conoscenza scientifica possono risultare il medesimo. Un modo di vivere nel labirinto, come mostrano le parole di Romano Guardini riguardo al mito di Dioniso: «il mistero esige una spiegazione, ma questa avrà solo il compito di indicare, appunto, ove risiede il vero enigma» (Rilke. Il senso dell’esserci: interpretazione delle elegie duinesi, saggio nel volume curato da E. Grassi, Berlino, 1941). Così Florenskij chiude una nota di Al confine dei mondi (p. 17): «È tutta la vita che cerco di “ricordare” una parola, udita da me non so dove e quando, ma terribilmente importante, dalla quale, sembra, dipenda tutto: la felicità, la soddisfazione, la pienezza, la santità».