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L’ideologia woke nasce con l’intento di rendere le persone più consapevoli delle disuguaglianze sociali e culturali, promuovendo giustizia, inclusione e rispetto per ogni forma di diversità. La parola “woke”, che in inglese significa “sveglio”, è stata usata a lungo nei contesti afroamericani per indicare chi non chiude gli occhi di fronte al razzismo e alle ingiustizie. Con il tempo, ha assunto un significato più ampio, arrivando a rappresentare una visione del mondo attenta alle dinamiche di potere e alle tante forme di discriminazione ancora presenti nella società.
Negli anni successivi all’esplosione del movimento Black Lives Matter, il pensiero woke ha influenzato profondamente il dibattito pubblico: ha cambiato il modo in cui si parla, ha spinto molte aziende e istituzioni ad adottare politiche più inclusive, ha portato nei programmi scolastici temi spesso ignorati. Allo stesso tempo, però, ha sollevato reazioni forti. In molti lo accusano di avere alimentato una cultura del sospetto, un linguaggio rigido, un’attitudine giudicante che penalizza il dialogo. Il rischio di ridurre tutto a uno scontro tra vittime e colpevoli, buoni e cattivi, ha indebolito la forza iniziale del movimento.
Nel 2025, l’ideologia woke non è scomparsa, ma non è più nemmeno la novità travolgente di qualche anno fa. È entrata in una fase di assestamento, in cui convive l’esigenza di continuare a lottare per i diritti con il bisogno di ritrovare misura, apertura e capacità di ascolto. La sfida oggi non è scegliere tra essere woke o anti-woke, ma capire come trasformare quelle istanze in qualcosa di più solido, concreto e condivisibile. Non basta il linguaggio giusto o la correttezza formale: serve un cambiamento profondo che metta davvero al centro la dignità delle persone.