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di Pierluigi Piccini
Quando Siena ha deciso di investire nelle scienze della vita, ha costruito un percorso chiaro: ricerca biomedica, innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale. Un’identità che ha saputo intrecciare storia e futuro, tradizione accademica e nuove imprese.
Oggi, nello stabilimento vuoto di viale Toselli, si affaccia un’altra ipotesi: l’arrivo di Leonardo. Un gruppo che opera in molti campi – aerospazio, elettronica, cyber, tecnologie duali – ma che rimane uno dei principali protagonisti europei dell’industria della difesa.
Non sappiamo, al momento, cosa verrebbe prodotto a Siena. Non è detto che si tratti direttamente di armamenti. Ma la domanda resta: siamo pronti a legare parte del nostro futuro a un’impresa che appartiene comunque a un settore segnato da logiche militari e geopolitiche?
L’operaio che cerca un lavoro non può essere lasciato solo davanti a questo interrogativo. La sua responsabilità è attenuata dal bisogno, mentre quella piena ricade su chi decide mercati, strategie e indirizzi politici. Ed è qui che si apre il tema più delicato: la responsabilità collettiva.
Kant ci ricorda che un’azione è giusta solo se può valere come legge universale. Arendt ci mette in guardia dal rischio della “banalità del male”, quando si agisce senza interrogarsi sul fine. Kutz e Larry May spiegano che la responsabilità, nelle azioni collettive, è sempre distribuita: maggiore per chi guida, minore per chi esegue, ma mai assente.
Per questo il dilemma non si riduce a “posti di lavoro sì o no”. È piuttosto: quale lavoro, con quali garanzie, con quali effetti sull’identità di Siena. È la differenza tra consolidare la vocazione di città della ricerca e della vita, o aprirsi a un settore che, pur tecnologicamente avanzato, porta con sé un peso etico e politico non indifferente.
Il futuro di viale Toselli diventa così lo specchio del futuro della città: una scelta che riguarda non solo un capannone industriale, ma i valori e l’immagine di Siena nei prossimi anni.