Il ddl Nordio, infatti, cancella la Bonafede del 2019, che ne bloccava il decorso alla sentenza di primo grado; ma anche l’improcedibilità affiancatale dalla legge Cartabia del 2021, in base a cui in appello e Cassazione, non è più il reato a estinguersi ma il processo dopo due anni e un anno. Si tornerà a un meccanismo simile alla riforma Orlando, in vigore dall’agosto 2017 alla fine del 2019: l’orologio della prescrizione sarà di nuovo uno solo (tarato sulla pena massima prevista per ogni reato) ma resterà fermo per un massimo di due anni dopo la condanna di primo grado e di un anno dopo la conferma in appello (nella Orlando entrambi i periodi erano di 18 mesi). Se però il tempo extra finisce prima che arrivi la decisione del grado successivo, il “bonus” si azzera: tutto il periodo di sospensione viene di nuovo contato ai fini della prescrizione. Lo stesso accade se la sentenza d’appello, pur arrivando “in tempo”, assolve. Ognuna delle riforme, però, non ha eliminato le altre. Quindi, se tra reato e processo la legge cambia, va applicata sempre la più favorevole all’imputato. Il problema è che da domani a convivere saranno cinque discipline diverse: la ex Cirielli del 2005, la Orlando, la Bonafede, la Cartabia e la nuova legge ancora senza nome. Qual è la più “conveniente”? Difficile, anzi impossibile, dirlo a priori, perché oltre a cambiare le regole sul calcolo molte riforme hanno aumentato o abbassato i termini massimi di prescrizione per determinate categorie di reati. Quindi potenzialmente ognuna delle leggi – a parte forse la “severa” Bonafede – può rivelarsi la più favorevole.
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Così da Nord a Sudi dirigenti degli uffici dovranno ripescare tutti i fascicoli pendenti e ricalcolare la prescrizione. E in appello e in Cassazione andranno ribaltati i calendari delle udienze, che adesso privilegiano i reati a rischio improcedibilità. Tutta sabbia nell’ingranaggio di una macchina che aveva appena ricominciato a muoversi, grazie agli investimenti resi possibili dai fondi europei. Eppure per evitare tutto ciò ci sarebbe stata una soluzione relativamente semplice: inserire nel ddl una norma transitoria che limitasse l’applicazione della riforma ai reati commessi da un dato momento in poi. A chiederlo erano stati tutti e 26 i presidenti delle Corti d’Appello italiane in una lettera inviata settimane fa al ministro della Giustizia Carlo Nordio, che però ha scelto di ignorarli. Così come ha ignorato gli appelli nello stesso senso arrivati dal Csm e dall’Anm. Dimostrando, ancora una volta, che far funzionare la giustizia non è mai stata davvero una sua priorità.
“Sono molto preoccupata per le ricadute organizzative che potrà avere un nuovo intervento sulla prescrizione – dichiara Margherita Cassano, prima, presidente della Corte di Cassazione –. Non discuto la sovranità del Parlamento, ma mi chiedo: è indispensabile intervenire proprio in questo momento, in cui tutti noi – magistrati e avvocati – siamo impegnati a conseguire gli obiettivi del Pnrr?”. L’allarme arriva da una giudice insospettabile di pregiudizi anti-governo (è esponente di Magistratura indipendente, corrente vicina all’attuale esecutivo), che però, durante l’ultimo plenum Csm, ha stroncato la scelta di riformare ancora una volta. “Questa ennesima modifica ci costringerà a fermarci per rivedere tutti i ruoli d’udienza – conclude – riprendere in mano tutti i fascicoli, sconvocare i processi già fissati e far ripartire le citazioni. Un’attività che porterà via molto tempo, creerà nuove delicatissime incertezze e sconvolgerà ancora una volta orientamenti interpretativi consolidati”.
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