Your body is a battleground. Non è cambiato molto dal celebre lavoro di Barbara Kruger per la Women’s March di Washington nel 1989. Il nostro corpo ancora oggi è terreno di scontro di identità, campo di ibridazioni ma anche oggetto di cure quotidiane sui nostri profili social.
La domanda è: quando è cominciato? Fra i molti inizi possibili con Francesca Borgo abbiamo fatto due scelte. La prima riguarda un punto di distanza, il Rinascimento. È allora che il corpo diventa soggetto artistico per eccellenza e costruzione culturale, non più solo un involucro attraverso cui portare l’anima in Paradiso. La seconda scelta riguarda il luogo: Venezia, incubatrice del primo trattato “moderno” di anatomia, il De Humani Corporis Fabrica di Andrea Vesalio, ma anche città sensuale, che eleva cura del sé e travestimento a vera e propria arte.
Abbiamo costruito un gruppo di ricerca che ha unito storici della scienza, letterati, storici dell’architettura, dell’arte, e del costume, con cui ritrovare oggetti sepolti in bibliografie settoriali.
Opere capaci di evocare le complesse forze culturali e sociali che le hanno prodotte, e allo stesso tempo con peculiari qualità formali: solo così la mostra diviene un organismo dotato di una temporanea e perspicua identità. In questo caso la qualità sublime di disegni, dipinti, sculture e oggetti d’uso ha costruito tre veri e propri lightning fields (pensando a De Maria), campi di forza intorno a tre concetti: scienza, desiderio, persona.
La prima parte racconta la conoscenza conquistata con la cruda pratica della dissezione: se nei frontespizi dei primi trattati anatomici il medico è lontano dal cadavere sezionato, nel 1543 Vesalio si fa rappresentare con le mani che aprono il ventre di una donna. Ma conoscenze acquisite richiedono inedite modalità di rappresentazione. Così Leonardo, nella Great Lady in arrivo da Windsor, allontana la memoria della dissezione rendendo la pelle trasparente, come a vedere l’interno di un corpo vivo. Vesalio sceglie la via opposta, mostrando corpi aperti dal bisturi, ma dissimula la crudezza della pratica utilizzando torsi di statue antiche. Altre stampe svelano per strati l’interno del corpo grazie ad alette sollevabili, mentre le levatrici usano manichini d’avorio scomponibili. L’obiettivo è la visione simultanea del dentro e del fuori, che disegni di Piero della Francesca, Leonardo provano essere alla base anche del linguaggio dell’architettura, in gestazione all’inizio del Cinquecento da parte di Bramante. Alla topografia degli organi all’interno della Great Lady risponde l’orografia della superfice del corpo nella Sibilla Libica di Michelangelo (dal Met e per la prima volta in Italia da quando Sargent la comprò nel 1924) che dimostra piena consapevolezza acquisita dagli artisti, come già suggerito da Alberti nel 1435, che per rappresentare l’esterno del corpo è necessario partire dal suo scheletro. Questo corpo “moderno” si nutre di misure accurate che generano lo Studio proporzionale maschile di Leonardo. Wittkower nel 1949 lo battezzò Uomo vitruviano, condannandolo a norma di bellezza ideale, e allontanandolo così dalle vere intenzioni dell’artista. Leonardo era invece alla ricerca di ciò che è comune a tutti i corpi, attraverso la misura di decine di essi, e arrivando addirittura a pagare dei giovani per farlo integralmente. Questo radicamento nella vita del cosiddetto Uomo vitruviano emerge nell’inedito confronto con l’altrettanto celebre l’autoritratto di Albrecht Dürer (per la prima volta in Italia) che si rappresenta con un naturalismo radicale privo di empatia, il primo nudo rinascimentale di cui si conosca l’identità. Testimone di una vita delle forme che attraversa i millenni risulta l’accostamento fra la visione dell’interno del ventre della Great Lady e quello di un rilievo votivo etrusco, e dell’Uomo vitruviano con un rilievo metrologico greco antico che ne ricalca la posa.
Il corpo conosciuto e misurato della prima parte diviene nella seconda quello desiderato della sensuale pittura veneziana e subito mercificato, nella tumultuosa imprenditoria editoriale che apre alla immagine pornografica (in mostra c’è l’unica copia superstite dei Modi di Aretino, con disegni di Giulio Romano). Ma il corpo non è solo quello degli altri: la nuova concezione rinascimentale culmina nella terza sezione dedicata alla costruzione della persona, giocata sulla tensione fra specchio (altra invenzione veneziana) e maschera, con un corpo disciplinato nelle capacità espressive e modificato da pratiche di cura di sé, dal make-up, agli abiti che modellano artificialmente la figura, sino alla inedita comparsa di protesi metalliche che non si limitano a compensare una perdita, ma imitano forme e movimenti grazie a meccanismi di scatto e leve interne. Sono repliche fedeli dell’arto perduto, perché a esse si chiede molto: la ricostruzione di un’immagine di sé, per tornare a vivere e lavorare tra gli altri. Ai corpi moderni del Rinascimento è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altro da sé.