Nino Cartabellotta
L’aula del Senato ha approvato il Ddl Calderoli sull’attuazione dell’autonomia differenziata che passerà quindi all’esame della Camera con l’obiettivo di diventare legge prima delle elezioni europee. Mancano dunque pochi mesi alla legittimazione normativa della “frattura strutturale” Nord-Sud, che comprometterà l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute. Esiti infausti per scorgere i quali non serve una sfera di cristallo, basta guardare allo “stato di salute” del Servizio sanitario nazionale (Ssn), all’entità delle diseguaglianze regionali e all’impatto delle maggiori autonomie sulla tutela della salute.
Oggi il Ssn vive una gravissima crisi di sostenibilità, sia per il sotto-finanziamento conseguente al saccheggio della spesa sanitaria da parte dei governi degli ultimi 15 anni, sia per l’assenza di riforme strutturali da un quarto di secolo. Tuttavia, la politica continua a illudersi di poter mantenere un Ssn pubblico, equo e universalistico con una spesa sanitaria che tra i Paesi europei ci colloca primi tra i Paesi poveri e senza attuare coraggiose riforme. E di poter garantire, con una spesa pubblica così bassa, un “paniere” di servizi e prestazioni sanitarie – Livelli essenziali di assistenza (Lea) – tra i più ampi d’Europa.
I risultati di questa “manutenzione ordinaria” ormai condizionano la vita quotidiana di tutte le persone, in particolare delle fasce socio economiche più deboli. Interminabili tempi di attesa per una prestazione sanitaria o una visita specialistica, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria. E in questo contesto di indebolimento della sanità pubblica aumenta l’offerta privata per soddisfare i bisogni di salute. Nel 2021 il numero di strutture sanitarie private accreditate sono quasi la metà di quelle che erogano l’assistenza ospedaliera (48,6%) e il 60,4% di quelle per la specialistica ambulatoriale. E sono prevalentemente private le strutture per l’assistenza residenziale (84%) e semiresidenziale (71,3%) e quelle riabilitative (78,2%) .
A fronte di un Ssn ispirato 45 anni fa dai princìpi fondanti di universalità, uguaglianza, equità, oggi ci ritroviamo 21 servizi sanitari regionali profondamente diseguali, con i residenti nella maggior parte delle Regioni meridionali a cui non sono garantiti nemmeno i Lea. Infatti, il monitoraggio 2021 da parte del Ministero della Salute documenta che delle 14 Regioni adempienti solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata, rispettivamente in 12ª, 13ª e 14ª posizione. E questa “frattura strutturale” Nord-Sud contribuisce ad alimentare il triste fenomeno della mobilità sanitaria che nel 2021 vale 4,25 miliardi di euro: un fiume di denaro che scorre prevalentemente da Sud verso tre Regioni settentrionali dove si concentra il 93,3% dei saldi attivi. Proprio le stesse Regioni (Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto) che hanno già sottoscritto i pre-accordi per le maggiori autonomie. E le Regioni con saldo positivo superiore a 100 milioni sono tutte al Nord: Emilia-Romagna (442 milioni), Lombardia (271 milioni) e Veneto (228 milioni); e quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni di euro tutte al Centro-Sud: Abruzzo (-108 milioni), Puglia (-131 milioni), Lazio (-140 milioni), Sicilia (-177 milioni), Campania (-221 milioni), Calabria (-252 milioni). Inoltre, tutte le Regioni del Sud, eccetto la Basilicata, si trovano insieme al Lazio in regime di Piano di rientro, con Calabria e Molise commissariate. Uno status che se da un lato “paralizza” la riorganizzazione dei servizi, dall’altro rende impossibile godere di qualsiasi beneficio dalle maggiori autonomie in sanità, di fatto nemmeno esigibili. E sono sempre le Regioni del Sud, in conseguenza dell’attuazione dei Piani di rientro, quelle dove si rileva maggior carenza di personale sanitario, soprattutto infermieristico. Ancora, l’attuazione della Missione Salute del Pnrr dimostra che i ritardi delle Regioni del Centro-Sud “trascinano” al ribasso il target nazionale. Ad esempio, entro il 2026 il Pnrr deve aumentare di oltre 800mila i pazienti over 65 in assistenza domiciliare integrata (Adi); ma se è realistico raggiungere l’obiettivo nazionale è una mission impossible colmare i divari regionali. Infatti, se Emilia-Romagna, Toscana e Veneto per raggiungere l’obiettivo devono aumentare i pazienti assistiti in Adi rispettivamente del 35%, del 42% e del 50%, in alcune Regioni del Centro-Sud i gap sono abissali: la Campania deve incrementarli del 294%, il Lazio del 317%, la Puglia del 329% e la Calabria del 416%. E così, invece di supportare le Regioni meridionali per colmare i gap esistenti con il Nord, l’autonomia differenziata va “in direzione ostinata e contraria” contrastando proprio il fine ultimo del Pnrr: perseguire il riequilibrio territoriale e rilanciare il Mezzogiorno.
In questo contesto, le maggiori autonomie potenzieranno le capacità di Emilia- Romagna, Lombardia e Veneto nell’erogare servizi e prestazioni sanitarie, indebolendo ulteriormente le Regioni del Centro-Sud, incluse quelle a statuto speciale. Ad esempio, più autonomie sul sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del Ssn aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi e favorendo l’avanzata del privato accreditato. Altre autonomie risultano francamente “eversive”. Una maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi darebbe il via libera a sistemi assicurativo-mutualistici regionali. O ancora la richiesta di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del Ssn, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con “migrazione” del personale dal Sud al Nord.
L’autonomia differenziata non è solo uno schiaffo al Meridione, visto che aumenterà la dipendenza delle Regioni del Sud dai servizi sanitari prodotti da quelle del Nord, ma rappresenta anche il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale, pilastro della democrazia e di coesione sociale.