
Fratelli d’Italia a Siena: tra retorica dell’underdog e nodi di potere irrisolti
6 Settembre 2025
L’articolo di Roberto Barzanti, apparso oggi sul Corriere Fiorentino, coglie con precisione il clima che si respira a Siena: un misto di attesa, timore e curiosità di fronte a un processo che, pur non essendo nato in città, avrà conseguenze profonde sul suo futuro. La sottolineatura del passaggio dall’Ops all’Opas — l’introduzione della componente in denaro — è puntuale: è questa la variabile che rende più realistico il superamento della soglia del 50%, segnando la vera svolta dell’operazione.
Accanto alle suggestioni — la “banca bicefala”, le risonanze storiche di Montaperti, la dimensione identitaria del Monte — occorre andare oltre. Perché la domanda non è se Mps resterà a Siena come marchio o sede, ma se saranno preservate funzioni operative, occupazione, servizi di credito per famiglie e imprese — ovvero quel rapporto vitale con l’economia toscana che, senza adeguate garanzie, rischia di diventare un simulacro.
Il nodo, evocato ma non sciolto da Barzanti, è la natura del “terzo polo” in formazione: sarà un soggetto competitivo solo finanziariamente, o una banca capace davvero di sostenere sviluppo industriale, innovazione e coesione sociale? La convivenza tra banca d’affari e banca retail non si realizza per suggestione simbolica: richiede una strategia chiara e un piano industriale trasparente.
E qui entrano i numeri: Intesa Sanpaolo ha chiuso il 2024 con un utile netto di circa 8,6–8,7 miliardi di euro; UniCredit ha fatto ancora meglio, con circa 9,7 miliardi; Mps, nello stesso anno, si è fermata a circa 1,95 miliardi, meno di un quarto rispetto ai due colossi. Questa distanza non è soltanto contabile: è strategica. Intesa e UniCredit operano come gruppi integrati a livello europeo, mentre il presunto terzo polo rischia di nascere già fragile, ben al di sotto delle ambizioni che lo circondano.
Nel terreno politico, Barzanti richiama giustamente il ruolo del Tesoro e del Governo. Ma non basta. La Regione Toscana, più che osservare, deve prendere in mano la partita: chiedere garanzie concrete per il mantenimento di presidi territoriali e per la continuità del credito a sostegno del tessuto produttivo. La Fondazione Mps, oggi ridotta a una presenza simbolica, non può più essere lo strumento di rappresentanza territoriale che serve.
Il risiko bancario è tutt’altro che chiuso: le possibili mosse su Bpm o su Generali potrebbero ridurre ancora di più il peso di Mps, se non si chiarisce subito la missione del Monte. È qui che si misurerà la responsabilità della politica nazionale e regionale, non solo dei vertici bancari.
Barzanti ha ragione a evocare la necessità di “una scossa di novità”. Ma questa non può essere affidata solo alle élite finanziarie. Deve nascere da un confronto vero con i territori. Perché senza radici locali, il cosiddetto “terzo polo” rischia di restare una suggestione politica tutta italiana — tanta retorica, pochi fatti concreti, e il rischio concreto che dall’ennesima montagna di promesse nasca soltanto un topolino.
Pierluigi Piccini