l’analisi
I tassi d’interesse devono salire, e molto, avevano insistito per anni le banche tedesche, premendo sulla Bce di continuo. Per uno strano contrappasso ora con il rialzo incontra difficoltà sui mercati la più grande azienda di credito della Germania, che orgogliosamente chiama sé stessa «Banca tedesca» come se fosse l’unica.
Eppure stava cominciando a guadagnarci, la Deutsche Bank, con gli alti tassi. Nel 2022 aveva fatto tanti profitti come mai negli ultimi 15 anni. I suoi ultimi risultati sono buoni, a differenza di quelli del Credit Suisse travolto la settimana scorsa. Se i mercati le si sono rivolti contro, nella spietata caccia al più debole del branco che prevale in questi giorni, è perché non ha una buona reputazione.
È una crisi di fiducia, si era appunto detto, con ondate speculative che non sempre sono direttamente motivate dai bilanci e dai consueti parametri di solidità finanziaria. A spingere gli assalti basta casomai si il sospetto vago che una banca potente, ben capace di influire sulle autorità del proprio Paese, qualche magagna possa senz’altro nasconderla.
Almeno sulla carta i conti sono a posto; i bilanci mostrano una solidità analoga a quella di parecchie altre banche dell’area euro. Le questioni sono altre. Le autorità di controllo, ossia la Bce e l’ente di vigilanza tedesco Bafin, nei mesi scorsi si sono dichiarate ancora insoddisfatte del risanamento interno dopo che erano emersi casi di riciclaggio e anche di frodi a danno di clienti.
Negli anni passati, la Deutsche era incappata in uno scandalo dopo l’altro. Due volte, nel 2012 e nel 2018, la polizia era andata a frugare le carte nelle due torri di vetro (con scherzo da bancari soprannominate “attivo” e “passivo”) sui giardini della Taunusanlage di Francoforte, vicino alla Vecchia Opera. Cercava prove di frodi fiscali una volta, di passaggi di denaro sporco un’altra.
Nel crack dei mutui americani “subprime”, 14 anni fa, la Deutsche si era comportata al peggio: vendere ad altri gli inaffidabili titoli “tossici” allo stesso tempo speculando al ribasso su un loro prossimo crollo. Le autorità di controllo Usa la multarono di 7,2 miliardi (proprio miliardi) di dollari, dopo aver minacciato una cifra doppia che sarebbe risultata insostenibile.
In Europa nel 2013 Deutsche fu sanzionata con altre 5 banche multinazionali per aver truccato i dati del Libor e dell’Euribor, i tassi di riferimento da cui dipendono molte transazioni finanziarie (compresi i mutui a tasso variabile di molte famiglie). Una nuova multa americana, di 600 milioni di dollari, colpì nel 2015 un lavaggio di denaro sporco per 10 miliardi a favore di clienti russi.
C’è entrato perfino il sesso, in transazioni dubbie con il miliardario americano Jeffrey Epstein, quello che scatenò la protesta del “Me too”. Più di recente, sempre il Bafin tedesco ha accusato di «malafede» gli impiegati di Deutsche che hanno venduto a imprese spagnole derivati finanziari astrusi, convincendole che si sarebbero protette dai rischi di cambio, mentre è avvenuto il contrario.
Aveva promesso pulizia Christian Sewing, da quasi 5 anni amministratore delegato. A raddrizzare i conti c’è riuscito, dopo successive perdite che avevano fatto assegnare alla Deutsche il non invidiato titolo di peggior investimento azionario in tutta la Borsa di Francoforte (25 miliardi di euro di perdita negli ultimi vent’anni, secondo il gestore di patrimoni Flossbach von Storch).
Ma i cattivi comportamenti si sono rivelati ben radicati, nonostante gli sforzi. Poiché gli obiettivi in materia di antiriciclaggio erano stati raggiunti solo al 50%, il Consiglio di sorveglianza della Deutsche ha decurtato i compensi dei più alti dirigenti per il 2022. Sewing ha così dovuto rinunciare a 145.000 euro secondo calcoli del Financial Times, comunque poco rispetto al totale.
Insomma, negli anni il malcostume si era radicato a diversi livelli, tanto che non è stato risolutivo nemmeno destinare centinaia di impiegati al controllo interno. Quattro anni fa il governo di Berlino, in cui l’attuale cancelliere Olaf Scholz era ministro delle Finanze, aveva pensato a qualcosa di simile a quanto fatto in Svizzera la settimana scorsa.
Tuttavia, la fusione con l’altro gigante nazionale in difficoltà la Commerzbank, non si fece per vari motivi, non ultimo dei quali le scarse prospettive di redditività. Dalla grande crisi finanziaria del 2008 lo Stato tedesco della Commerzbank è azionista di maggioranza relativa; vorrebbe vendere il pacchetto e non ci riesce perché realizzerebbe una forte perdita.
Se tutta la Germania trema davanti alle traversie di questi giorni della Deutsche è perché tutto il suo sistema creditizio non è robusto, al di là delle vanterie. Nell’ultimo decennio, la profittabilità delle banche tedesche nel loro insieme è stata inferiore perfino a quella delle italiane, anch’esse poco brillanti.
Sono anzi, le tedesche, «fra le meno redditizie in Europa» e «intente a massimizzare i benefici degli interessi interni piuttosto che i profitti», afferma, in termini insolitamente crudi, il più recente rapporto del Fondo monetario internazionale, datato 16 agosto 2022. Di che si tratta? Casse di risparmio quasi tutte sotto l’ala del potere politico locale, soprattutto.
Due colossi malati e un pulviscolo di aziende di credito locali, pubbliche come le Casse o cooperative: gli stessi tedeschi sono coscienti che un sistema così non può essere un modello per l’Europa. Però resistono con tutte le forze a completare l’unione bancaria europea, che potrebbe rendere tutti più forti di fronte alle follie dei mercati.