Il testo che segue è di Valter Malosti, regista teatrale e autore della versione italiana di Lazarus, l’ultima grande opera di David Bowie, scritta con Enda Walsh e ispirata a The Man Who Fell to Earth di Walter Trevis. Lo spettacolo ha debuttato nei giorni scorsi a Cesena, sarà poi a Modena, Rimini, Roma, Bologna, Napoli, Lugano, Milano, Ferrara e Torino. Il protagonista è Manuel Agnelli.


Il primo vero disco che ho comprato me lo ricordo bene, intendo comprato in un negozio di dischi, sigillato, e non trovato usato sulle meravigliose bancarelle piene di tesori di quegli anni, che regolarmente saccheggiavo (quasi ottomila vinili all’apice della follia collezionistica).

È stato un vero e proprio rito. Era il Natale del 1977. Il 24 dicembre sono uscito verso sera, Torino plumbea e quasi deserta, ma il mitico negozio musicale Maschio ancora aperto. Il disco era uscito in Italia un mese e mezzo prima. Contavo i minuti che ci volevano per arrivare in Piazza Castello, col cuore che tremava. Quella sera mi sono portato a casa Heroes.

SENTIRSI VIVI

La musica di Bowie mi ha fatto sentire vivo per la prima volta. Da ragazzino sono stato salvato dalla musica. Ha dato un senso alla mia vita. Ho capito poi attraverso la scrittura in scena col mio corpo – la voce è corpo – che i grandi autori non ci consegnano solo grandi contenuti ma all’interno della loro scrittura molto altro passa da una musica riconoscibile e unica.

Musica e teatro sono indissolubilmente legati, almeno per la mia personalissima esperienza. Per me il teatro è il luogo del mistero che non va spiegato ma nel quale smarrirsi con il battito cardiaco che aumenta, il beat dei nostri cuori.

Oggi non riesco a smettere di pensare a tutte quelle ragazze e a quei ragazzi che avevano intrapreso in Afghanistan un dialogo con la musica che stava salvando le loro vite. E non riesco a trattenere la rabbia. Hanno tolto loro la musica e quindi la vita.

Mi immagino io da ragazzo che mi trovo a vivere in un luogo in cui la musica da un momento all’altro diventi proibita. Mi immagino la rabbia e la frustrazione. Se conosci la musica te la puoi cantare e far danzare anche in testa, cantarla dentro di te. In qualche modo voi siete già liberi.

Ma io spero, confidando nella potenza della musica e dell’arte, che quelle voci esplodano e si uniscano e danzino in pubblico. Da ora in poi quando sarò in scena io canterò per loro. E dunque questo Lazarus è dedicato a loro e a tutti coloro a cui è negata l’arte, la musica, la voce.

LAZARUS

… Ma quando poi cominciammo a cantare / Le buone nostre canzoni insensate, / Allora avvenne che tutte le cose / Furono ancora come erano state. […]. Fummo di nuovo soltanto giovani: / non martiri, non infami, non santi. (Primo Levi / Cantare / 3 gennaio 1946).

Affrontando Lazarus mi è rimasta impressa una figura che Bowie ha avuto a cuore fin dall’inizio della creazione del suo progetto: Emma Lazarus, poetessa e attivista americana, divenuta famosa dopo la morte perché il suo poema The New Colossus, un inno all’accoglienza, è stato inciso alla base della Statua della Libertà.

«A me date i vostri poveri, esausti, le (…) masse accalcate desiderose di respirare libere (…) Mandate a me i senza tetto, i naufraghi rovesciati in mare dalle tempeste, io tengo sollevata la mia fiaccola accanto alla porta d’oro». Non posso togliermi dagli occhi le immagini dei giocattoli dei piccoli naufraghi sulle spiagge del nostro mare.

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MUSICA E TEATRO

Il romanziere e sceneggiatore Michael Cunningham, che fu il primo a lavorare con Bowie ad un progetto di musical, racconta che l’opera doveva essere costruita proprio intorno a Emma Lazarus. E Enda Walsh, poi coautore di Lazarus, lo conferma. La poetessa è uno dei tre personaggi presenti nel mitico foglietto che Bowie gli presenta nel loro primo incontro, insieme ad una ragazza che non si sa se sia viva o morta e a un serial killer di nome Valentine.

Ma Bowie aveva da sempre avuto un legame strettissimo con il teatro, dapprima entrando giovanissimo nella compagnia di teatro-danza di Lindsey Kemp, e sarà poi proprio Kemp a coreografare i concerti legati a Ziggy Stardust.

All’altezza temporale di Diamond Dogs, invece, Bowie avrebbe voluto scrivere un pezzo di teatro musicale a partire da 1984, l’amatissimo romanzo distopico di Orwell, ma gli eredi gli negarono i diritti.

Nel 1980 poi trionfa a Broadway con il testo teatrale The Elephant Man di Bernard Pomerance, di cui interpreta il commovente e perturbante John Merrick, raccontando la sua deformità senza l’ausilio di nessun trucco. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo.

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IN SCENA

«Se vuoi vedere uno spettacolo, guarda il tuo corpo», afferma un proverbio tibetano. Bowie era uno sciamano che cercava nel suo personalissimo modo la natura divina nascosta nella oscurità del nostro inconscio.

Basta guardare il documentario della Bbc del 1974 Cracked Actor, per accorgersi dell’aura e della grazia che resisteva e persisteva in Bowie nonostante fosse distrutto dalle droghe.

È vedendo questo documentario che Nicolas Roeg lo scelse come protagonista de L’uomo che cadde sulla Terra (dal romanzo di Walter Tevis). A più di 50 anni dal romanzo e a 40 dal film di Roeg, che lo ha visto fornire la sua miglior prova come attore, Bowie decide di riprendere in Lazarus le fila dell’infelice storia del migrante interstellare Newton, costretto a rimanere sulla Terra, forse per concludere anche quel capitolo rimasto in sospeso, per liberare o liberarsi di quel personaggio.

Lo stesso aveva fatto nel video di Blackstar con l’altrettanto malinconica epopea del Major Tom di Space Oddity e ancor prima con Ziggy Stardust, di cui ha inscenato la morte alla fine del tour del 1973, riponendo poi il manichino coi vestiti di Ziggy, nella magnifica mostra David Bowie is, in una teca-sarcofago simile a quella di Biancaneve o a una camera di ibernazione.

PRIGIONIERO

Ed eccoci al nostro Lazarus: nella versione di Bowie e Walsh, l’alieno è ancora prigioniero sulla Terra, sempre più isolato dal mondo, chiuso nel suo appartamento, in preda alla depressione e vittima dei suoi fantasmi e della dipendenza dal gin: un moribondo che non riesce a morire.

In questa situazione disperata, Newton riceve segnali dal passato attraverso la Tv, capta visioni del futuro generate dalla sua mente, mescola realtà e sogni ad occhi aperti. Vari personaggi (fantasmi? proiezioni mentali?) si aggirano nello spazio claustrofobico dell’appartamento di Newton (o nel continuum devastato della sua mente?).

ALIENI

Bowie era un’antenna sensitiva dello spirito del tempo e delle arti, percepiva umori e atmosfera, e poi digeriva e rimescolava tutto in una sintesi geniale, direi alchemica visto l’interesse di Bowie per questa materia, in cui l’androginia e l’energia dionisiaca fanno esplodere l’interiorità e l’identità in mille frammenti e altrettante maschere.

Alla luce della sua morte tendiamo a leggere tutto ciò che Bowie ha creato nei suoi ultimi anni come allegoria autobiografica, ma Bowie, come sempre nelle sue creazioni e con i suoi alter ego, sta usando la persona di Newton, mobilitandola come veicolo per le sue ossessioni. Newton allo stesso tempo è Bowie e non è Bowie.

Per Bowie la figura dell’alieno rappresenta tutti i “diversi”, o meglio quelli che la società considera tali.

SIAMO NOI

Il lebbroso Lazzaro siamo noi, sembra dirci Bowie dalla locandina del suo spettacolo e dalla copertina del disco in cui la “us” (noi) si stacca da Lazar. La prima rappresentazione di Lazarus ha avuto luogo il 7 dicembre 2015 al New York Theatre Workshop di Manhattan, e quella è stata l’ultima apparizione pubblica di Bowie, scomparso un mese dopo.

Bowie, seppur piegato dalla malattia, con uno straordinario e commovente sforzo creativo ha voluto lasciarci questo strano oggetto di teatro musicale che si può considerare, insieme al magnifico album Blackstar, uscito due giorni prima della morte, il suo testamento creativo.

Lazarus è un’opera carica di energia, molto potente. Come ripeto spesso, il nostro compito come artisti, in questo turbolento periodo, è proprio questo: dare energia, parlare a tutti. E Lazarus è un’opera sofisticatissima ma al tempo stesso popolare, perfetta per questo tempo.

Quest’opera di Bowie ci parla del viaggio, forse del nostro ultimo viaggio che la musica rende eterna. Di Bowie/ Newton scompare il corpo ma rimane in dono la preziosa energia della sua musica che ci salva e ci fa vibrare come pianeti in perenne ed eterno movimento, noi costellazioni esplose nell’universo.

Things that happened in the past / Only happened in your Mind / Only in your Mind-Forget your Mind / And you’ll be free-yea’ / Things that happened in the past / Only happened in your Mind / Only in your Mind-Forget your Mind. / And you’ll be free-yea’

«Ciò che ti è accaduto in passato / è accaduto solo nella tua mente / Solo nella tua mente – Dimentica la tua mente / e sarai libero».

David Bowie, Fill your heart, in Hunky Dory, 1971