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Con Mps vicina all’80% del capitale, Mediobanca non è più la banca indipendente che per decenni ha guidato la finanza italiana. Ora la vera partita si gioca sul capitale umano: manager, banker e clienti.
La sfida per Mps è trattenere queste persone. Se i manager decidessero di andarsene, rischierebbero di portare via con sé anche la clientela, soprattutto quella di private banking e corporate advisory che si muove seguendo i professionisti di fiducia.
Il direttore generale Francesco Saverio Vinci ha assicurato che il marchio resterà e che le due banche non hanno sovrapposizioni, ma la tenuta del progetto si vedrà nei prossimi mesi: quando sarà nominato il nuovo consiglio di amministrazione, quando si capirà se il management resterà e quando emergeranno le prime mosse strategiche di Siena.
A questo punto mi domando se tutta l’operazione abbia avuto davvero senso se non in funzione di Generali, se il prezzo pagato non sia stato troppo salato? E se non si siano semplicemente seguiti i desiderata di qualche grande socio e della politica? Comunque qualcuno, da questa partita, si è ulteriormente arricchito. Forse servirà tempo per capirlo fino in fondo, ma è lì che si misurerà il successo o il fallimento di questa scelta.
Mediobanca, da eccezione italiana, diventa così parte di un sistema chiuso, dove il risparmio resta senza una protezione totale. Il superamento forzato di questa realtà non ha prodotto un modello migliore: anzi, segna un passo indietro nella tutela dell’azionista diffuso e nell’autonomia del mercato.
Ho seguito passo passo questa vicenda. Da ora in avanti non farò più cronaca quotidiana: tornerò a scriverne solo quando ci saranno passaggi davvero decisivi — governance, nomine, delisting o segnali di fuga dei manager e dei clienti.