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di Claudio Bozza
La folla e il lancio davanti all’hotel Raphaël. Occhetto: una barbarie, aprì la via al populismo. L’allora pm Colombo: fu violata la sua dignità
È il 30 aprile 1993, l’imbrunire. Sarebbe una di quelle fantastiche serate di primavera, che solo a Roma… Ma si trasforma nella notte in cui morì la Prima Repubblica (e forse furono gettati i semi del populismo). Largo Febo, fazzoletto di pietre incastonato tra i vicoli di piazza Navona, si trasforma in un’arena. Sotto all’hotel Raphaël, la casa di Bettino Craxi, almeno 200 persone attendono inferocite lo storico leader del Psi. Il clima è rovente: l’Italia, appena un anno prima, è stata colpita al cuore dalle stragi mafiose che uccidono Falcone e Borsellino. E a ruota arriva Mani Pulite, l’inchiesta del pool di Milano, che spazzerà via un’intera classe politica, permeata dalla corruzione.
Sono giorni di clamorose proteste di piazza, che culminano simbolicamente in quei pochi attimi durante cui Craxi, diventato emblema del malcostume politico, viene bersagliato dal lancio di monetine. Sono passati 30 anni da quella notte, che ripercorriamo con l’aiuto di alcuni protagonisti: Bobo Craxi, figlio di Bettino; Gherardo Colombo, pm che indagò su Tangentopoli; Achille Occhetto, ai tempi segretario del Pds, partito che quella sera riunì migliaia di persone in piazza Navona; e Luciano Del Castillo, il reporter che riuscì a scattare l’unica foto del tentato linciaggio sotto al Raphaël.
Quelle immagini mi colpiscono oggi come allora: non si dovrebbero mettere le persone alla berlina
La cronaca. A Montecitorio (con voto segreto), la sera prima del redde rationem in largo Febo, erano state respinte quattro delle sei autorizzazioni a procedere per corruzione e ricettazione che la magistratura aveva richiesto contro Craxi. Il Pds organizza una grande manifestazione in piazza Navona. Ci sono migliaia di persone. Un gruppo di queste ha l’idea di spostarsi di appena 300 metri, sotto al Raphaël. La protesta diventa però inaspettatamente bipartisan, perché oltre ai pidiessini si ritrovano anche leghisti e diversi sostenitori del Msi, animati da Teodoro Buontempo, che arriva trafelato dalla Camera con due sacchettini zeppi di monete da 50 e 100 lire. Quelle monetine vengono distribuite a tutti i presenti. E chi rimane senza sventola banconote da mille lire, gridando: «Bettino vuoi pure queste?».
Con Craxi c’erano profonde divisioni, ma fui subito contrario a quello che era un furore giustizialista
Poi, d’un colpo, la situazione degenera. «Eccolo, eccolo!». Non appena Craxi esce dalla porta partono i cori e vola di tutto. Solo un ampio cordone di poliziotti riesce a preservare l’incolumità di Craxi. Questa sequenza viene ripresa solo da due telecamere di Rai e Tg4. Vista la virulenza delle diverse proteste in atto, in un primo momento quelle immagini restano in secondo piano: solo dopo se ne comprenderà il valore di crocevia della politica italiana. Quella scena, infatti, non mise fine soltanto alla carriera di Craxi come uomo politico, ma simbolicamente sancì anche il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.
Non mi risulta che quella protesta fosse organizzata dai nostri Quel lancio fu una cosa orrenda
L’ex pm Gherardo Colombo era uno dei pilastri del pool Mani Pulite, che aveva individuato con i suoi colleghi un vero e proprio sistema della corruzione in Italia, legato al finanziamento illecito dei partiti. Chiediamo che sensazione gli fa rivedere il video delle monetine 30 anni dopo. «A me fa lo stesso effetto di allora: io credo che sia sempre necessario rispettare le persone — spiega Colombo al Corriere —. In quell’occasione fu violata la dignità dell’onorevole Craxi: quelle immagini mi colpiscono negativamente, non si dovrebbero mettere le persone alla berlina». Rifarebbe qualcosa in maniera diversa? «Chissà, forse avrei dovuto insistere sull’idea che avevo espresso in una intervista nel luglio 1992: resto convinto che il sistema della corruzione si sarebbe dovuto risolvere attraverso un provvedimento legislativo che prevedesse che non sarebbe andato in prigione chi avesse raccontato come erano andate le cose, avesse restituito ciò di cui si era appropriato illecitamente e si fosse allontanato per un periodo ragionevole dalla vita politica. Non fu fatto e il sistema nel suo complesso non è emerso». Infine Colombo non crede si possa distinguere tra Prima e Seconda Repubblica: «Perché finisca una Repubblica e ne inizi un’altra è necessario che intervengano modifiche a livello costituzionale nell’organizzazione dello Stato, così come avvenuto in Francia: in Italia ciò non è successo».
Ero l’unico fotografo tra la folla
Craxi poteva scappare dal retro, invece uscì a testa alta e ciò mi colpì
Achille Occhetto, all’epoca segretario del Pds e in forte contrasto con Craxi, poco prima aveva tenuto il comizio in piazza Navona. Parte di quei manifestanti si ritrovarono poi sotto al Raphaël assieme ai nemici missini. «Ci tengo però a precisare che quella cosa fu organizzata dal Msi — ricorda Occhetto —. Io fui subito contrario, perché fu una roba sommaria, una reazione inaccettabile. Con Craxi c’erano profonde divisioni, ma quelle immagini mi colpirono molto: umanamente e politicamente. Fu un esempio di barbarie innescata dal furore giustizialista: quella notte, senza dubbio, fu aperta la via per il populismo».
Dal fronte Msi c’è la testimonianza di Francesco Storace, ai tempi capo ufficio stampa di Gianfranco Fini, segretario del partito: «Non mi risulta affatto che quella protesta fosse stata organizzata dai nostri — spiega Storace —. Ho zero ricordi di quella sera, ma le immagini delle monetine sono una cosa orrenda».
Di quella drammatica notte, oltre ai due video in presa diretta, rimane un’unica foto, scattata in maniera rocambolesca da Luciano Del Castillo. «Erano altri tempi, c’erano le pellicole da sviluppare in tempo per i giornali e c’erano i flash: quando si scaricavano eri fregato — ricorda il fotoreporter —. Arrivai sotto al Raphaël, ma il flash era quasi scarico: dovevo scattare solo a colpo sicuro. Così mi arrampicai non so dove e sperai». La tensione era forte: «Qualcosa arrivò addosso pure a me — conclude Del Castillo —. Capii che il re era caduto. Di quei momenti ricordo l’orgoglio di quest’uomo, che uscì a testa alta: poteva scappare dal retro, ma credo che volesse dare una lezione a tutti».