La foto dei misteri sui rapporti tra i mafiosi stragisti Graviano e Berlusconi, la chiusura di Non è l’Arena e l’ipotesi che circola in procura antimafia a Firenze di sentire come testimone Urbano Cairo, l’editore di La7 e del Corriere della Sera, in quanto persona informata sui fatti, dopo che i pubblici ministeri hanno già ascoltato Massimo Giletti.

Il conduttore ha raccontato ai magistrati Luca Tescaroli e Luca Turco di aver visto uno scatto che ritrae l’ex presidente del consiglio, uno dei fratelli Graviano e il generale Francesco Delfino, il militare al centro di svariati misteri italiani. A mostrargli il documento prezioso a tal punto da poter riscrivere la storia della seconda Repubblica è stato, secondo Giletti, Salvatore Baiardo: il personaggio reso celebre da un’intervista rilasciata a Non è l’Arena in cui ha predetto l’arresto di Matteo Messina Denaro. Per quelle apparizioni televisive Baiardo è stato pagato regolarmente dalla produzione esterna a La7.

Baiardo da mago che prevede il futuro si è trasformato presto in una pedina centrale nell’indagine sui mandanti occulti delle stragi del 1993 in corso a Firenze. È il collante che tiene insieme diversi piani: è stato condannato in passato per favoreggiamento ai fratelli Graviano, ritenuto un loro portavoce, è a conoscenza, come dimostrano alcuni documenti ottenuti da Domani, degli incontri tra uno dei fratelli stragisti e Berlusconi, in procinto di “scendere in campo”.

Baiardo dunque è il ponte che unisce passato e presente: dai rapporti (ammessi dallo stesso Graviano durante gli interrogatori) con l’ex presidente del consiglio alla foto di cui ha parlato Giletti con i magistrati. Baiardo è netto nel sostenere che la foto non esiste, tuttavia intercettazioni dimostrerebbero il contrario.

Sullo sfondo di questo intreccio c’è uno scenario investigativo che punta a svelare l’identità dei mandanti occulti degli attentati eseguiti dalla mafia di Totò Riina nel 1993, le bombe sul continente, successive al tritolo che aveva trasformato le strade di Palermo in Beirut con la mattanza delle scorte e dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I due indagati eccellenti sono Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, in passato già coinvolti in inchieste sui mandanti e prosciolti da ogni accusa. Il filo seguito dai detective lega la nascita di Forza Italia, le stragi del 1993, le presunte relazioni pericolose tra i mafiosi stragisti e Silvio Berlusconi, mediati dal fedelissimo Marcello Dell’Utri, che ha scontato una condanna per complicità con le cosche siciliane.

IL BOSS E BERLUSCONI

Per riannodare i fili di questa storia iniziata 30 anni fa è necessario partire dalla figura di Baiardo. I magistrati antimafia di Firenze hanno intercettato Baiardo almeno fino al 2021: a partire dal primo interrogatorio cui è stato sottoposto l’uomo dei Graviano. Inoltre un fatto è certo, Baiardo, è stato utilizzato già nel 2011 «per far giungere un messaggio all’esterno del carcere a Silvio Berlusconi», a nome di altri due stragisti, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Questi elementi emergono dagli atti dell’inchiesta di Firenze, in via di conclusione prima della deflagrazione del caso Giletti, e che ora invece si è arricchita di ulteriori indizi con consequenziale dilatazione dei tempi.

Arriviamo così alla foto Berlusconi-Graviano-Delfino, la cui esistenza è stata svelata da Domani, e che secondo alcuni potrebbe essere una delle cause della fine anticipata del programma condotto da Giletti. Sulle reali motivazioni della decisione non c’è nulla di ufficiale: fonti interne alla rete hanno imputato ai costi eccessivi del programma, altri sostengono che sia stata invece l’operazione Baiardo a portare a una scelta così drastica. Di certo, al momento, non c’è una versione ufficiale esaustiva.

Giletti sostiene di aver visto la foto, individuando solo un giovane Berlusconi. Convocato dai pm racconta del documento in possesso di Baiardo. I pm fiorentini peraltro hanno riscontrato la possibile esistenza ascoltando le conversazioni degli incontri tra l’ex volto di La7 e il pregiudicato. Non sarebbe così assurdo che Baiardo custodisse uno scatto tra Graviano e Berlusconi. Il motivo è da ricondurre al suo ruolo originario avuto per i padrini palermitani. C’è traccia di questo nelle carte dell’inchiesta.

A far ripartire l’indagine sui mandanti esterni ci sono i colloqui intercettati in carcere tra Giuseppe Graviano e il compagno di cella, Umberto Adinolfi, nei quali lo stragista parla di accordi economici con Berlusconi e di quegli anni di bombe e sangue innocente. In queste registrazioni c’è un riferimento a Baiardo presente agli incontri con Berlusconi: «Quando si preparavano gli incontri” e a me mi accompagnava (…) Baiardo…mi accompagna lui, io incontravo a lui», dice Graviano e specifica la ragione degli incontri «per mantenere i patti». In pratica Graviano parla della propria latitanza e della disponibilità di una casa a Milano 3, la cui proprietà apparteneva a un soggetto che lo stragista non nomina, lo definisce come ‘lui’.

«Graviano riferiva di aver utilizzato un soggetto prestanome per creare una copertura su tale immobile mentre, quando si recava agli incontri, necessari per mantenere i patti, si faceva accompagnare da Salvatore Baiardo», scrive la direzione investigativa antimafia. La novità è che, ora sappiamo, Baiardo avrebbe confermato a verbale di aver accompagnato il boss agli incontri, presunti, con Berlusconi. Per l’entourage del Cavaliere si tratta solo di falsità, messe in giro per colpirlo.

MESSAGGI AL CAVALIERE

Tra i colloqui intercettati in carcere c’è una conversazione che, nella parte finale, diventa cruciale: «Rileva l’intenzione di poter far giungere un messaggio all’esterno del carcere a Silvio Berlusconi, nella circostanza definito “B”, e così era accaduto nel 2011 quando, a tale scopo, aveva utilizzato Salvatore Baiardo», scrive Francesco Nannucci, capo centro della Direzione investigativa antimafia.

Tra il 2011 e il 2012 gli avvocati dei Graviano scrivevano alle procure competenti invitandole ad ascoltare Baiardo e lui, in quel periodo, faceva una cosa che ricorda la strategia adottata negli ultimi tempi: parlare ai giornali. Accusava, ritrattava, smentiva nominando Berlusconi per la solita storia dei presunti rapporti con i Graviano, e, anche allora, riferiva di incontri, prove e foto.

Si scopre che, in quel periodo, ha incontrato anche Paolo Berlusconi, il fratello dell’allora primo ministro, come dirà in un interrogatorio del 2011. L’incontro, aveva spiegato Baiardo, serviva a chiedere un posto di lavoro, mai ottenuto. Certamente è curioso che a distanza di tanti anni, dopo la rottura con Giletti, Baiardo annunci sui social un fantomatico ingaggio con Mediaset della famiglia Berlusconi. All’azienda non risulta, secondo molti è l’ennesimo messaggio dell’uomo dei Graviano.

I magistrati di Firenze hanno ascoltato Baiardo quattro volte e alcuni suoi racconti risulterebbero fondati e riscontrati, «il Baiardo televisivo è diverso da quello che si reca in procura», confida un investigatore.

L’INCROCIO CALABRESE

L’indagine di Firenze sui mandanti incrocia un processo calabrese sulla strategia stragista della ‘ndrangheta, la mafia calabrese, in combutta con i siciliani. Imputato e condannato Giuseppe Graviano. E in quel mare di atti spuntano diversi rapporti investigativi sia su Baiardo sia sul generale Delfino. I protagonisti della foto con Berlusconi. Nomi che ricorrono nelle carte e che si incrociano, in quegli anni, pericolosamente.

Uno degli audio che Giletti avrebbe mandato in onda se la trasmissione non fosse stata chiusa, riguarda le dichiarazioni del pentito Nino Fiume: è lui a rivelare l’impegno preso dal capo dei capi della ‘ndrangheta al nord, Antonio Papalia, per evitare il rapimento di Piersilvio Berlusconi, il figlio del Cavaliere. Papalia, c’è scritto nelle note degli investigatori reggini, era in contatto con il generale Delfino.

Molto del materiale del processo sulla ‘ndrangheta stragista è conosciuto anched dai magistrati di Firenze. Per esempio la parte in cui i detective ricostruiscono il collegamento tra i Graviano e Dell’Utri: favorito dall’imprenditore, sodale dell’ex senatore, Filippo Alberto Rapisarda, pregiudicato e socio del sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. «Il nome di Filippo Alberto Rapisarda… è indicato da Salvatore Baiardo quale trait d’union tra Dell’Utri e i Graviano per la gestione di interessi economici e, in particolar modo immobiliari, in Lombardia e Sardegna», si legge in un’informativa depositata.

Ma dalle carte, a proposito degli incroci tra Baiardo e Graviano, è spuntato anche un documento investigativo, definito di «portata eccezionale», relativo all’analisi dei movimenti dei due fratelli stragisti, eccezionale «alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo», si legge.

I Graviano, nell’estate del 1993, erano in vacanza in Sardegna. «Il dato che qui preme evidenziare è la presenza dei due ricercati, nell’agosto del 1993, a un tiro di schioppo dalla residenza estiva del leader della istituenda Forza Italia, rendez vous dei collaboratori di Berlusconi e, si presume, anche di Dell’Utri», si legge.

Erano gli anni della decisione di Berlusconi di “scendere” in politica, la prima discussione avveniva in Sardegna nell’estate 1993, come ha confermato Gianni Letta, ascoltato nel processo Dell’Utri.

L’allora cavaliere accetta i consigli di quest’ultimo piuttosto che quelli di Confalonieri e Letta, entrambi contrari alla discesa in campo. Perché Silvio si è fatto convincere da Dell’Utri snobbando i consigli persino di Letta? I motivi non li ha rivelati né Berlusconi, né Dell’Utri.

Nell’aprile 2021, gli inquirenti hanno chiesto conto a Graviano di un’intervista in cui Baiardo riferiva che lo stragista avrebbe portato, negli anni novanta, molti soldi al Cavaliere in Sardegna. «Non ho mai incontrato Berlusconi in Sardegna», ribatteva Graviano.

CAIRO IN PROCURA

Le puntate di Giletti sulla mafia e le stragi infastidiscono Dell’Utri. In un’intercettazione, anticipata da La Repubblica, l’ex senatore manifestava irritazione contro gli approfondimenti di Giletti sui suoi rapporti con la mafia, per i quali è stato anche condannato a sette anni di carcere.

Gli investigatori della Dia scrivono: «Altra situazione che preoccupa Dell’Utri è la diffusione della puntata della trasmissione “Non è l’Arena” di Massimo Giletti, andata in onda il 10 giugno (2021, ndr), di cui si è parlato nella richiesta di cessazione a naturale scadenza delle attività tecniche a carico di Salvatore Baiardo», si legge nelle carte dell’indagine. Un altro riferimento a Baiardo, da cui è chiaro che esisteva all’epoca un intesa operazione di intercettazione sull’uomo dei Graviano. Ancora una volta inserito in una informativa sull’ex manager e senatore berlusconiano.

Siamo a giugno 2021, dunque. Dell’Utri a un pranzo parlava con l’avvocata di Mediaset, Enrica Maria Mascherpa, e con il tesoriere di Forza Italia, Alfredo Messina. Dell’Utri esprimeva la necessita di riabilitare, mediaticamente, la sua figura e costruire una strategia per difendere Berlusconi e le aziende, anche perché di lì a breve ci sarebbe stata la sentenza di secondo grado sulla trattativa stato-mafia, processo in cui Dell’Utri è stato assolto.

Tre mesi più tardi Dell’Utri ha rilasciato un’intervista affatto tenera nei confronti di Cairo pubblicata da Il Foglio: «Era un ragazzo sveglio, gli feci fare l’assistente personale di Berlusconi (…) Lui era, ed è ancora, un tipo assai rampante. E se posso, anche un pizzico irriconoscente. So bene che un editore bravo non interviene. Ci mancherebbe. Però, diamine, lui mi conosce. Come può pensare di me le cose che dicono in alcune sue trasmissioni? L’informazione è una cosa. L’accanimento è tutto un altro paio di maniche», diceva Dell’Utri.

L’ex senatore Messina ricorda il disappunto di Dell’Utri per le puntate di Giletti, tuttavia dice: «Io non ho chiamato Cairo, non saprei se lo ha fatto Dell’Utri. Di certo è stato nostro collaboratore, dipendente e assistente del presidente Berlusconi». Ora questi rapporti conditi dai riferimenti diretti espressi da Dell’Utri tornano di attualità con la decisione di chiudere “Non è L’Arena”.

Così dopo la testimonianza fornita da Giletti ai pm, un’ipotesi sembra farsi certezza: la possibile convocazione di Cairo per sentirlo come persona informata sui fatti in relazione al caso Giletti.

Contattati da Domani, l’ufficio stampa di La7 smentisce al momento una convocazione ufficiale. Dalla procura nessuna conferma e neppure nessuna smentita.