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Il faccia a faccia in programma ad Anchorage tra il presidente degli Stati Uniti e il leader del Cremlino si annuncia come un incontro carico di simbolismo e di incognite strategiche. L’Alaska, ex territorio russo ceduto a Washington nel 1867, diventa il palcoscenico di un vertice che molti, a Mosca, considerano già una vittoria diplomatica per Vladimir Putin. A Kiev, invece, prevale la diffidenza.
Volodymyr Zelensky ha ribadito che nessuna decisione sul futuro dell’Ucraina può essere presa senza la sua diretta partecipazione. Un negoziato bilaterale tra Washington e Mosca – avverte – rischia di legittimare le conquiste militari russe e di compromettere la sicurezza del Paese. Tra le ipotesi emerse figura quella di un cessate il fuoco in cambio del riconoscimento di parte dello status quo territoriale, inclusa la Crimea: eventualità respinta con fermezza, soprattutto per quanto riguarda il Donbass, considerato non negoziabile. Il quadro si complica ulteriormente per il veto già annunciato da Ungheria e Slovacchia all’adesione ucraina all’Unione Europea.
Sul terreno, intanto, la pressione russa si intensifica. Nella regione di Donetsk, le forze di Mosca avanzano lungo l’asse Dobropillia–Kramatorsk, restringendo la morsa attorno a Pokrovsk. Alcune unità sono riuscite a penetrare le difese ucraine, tentando di creare teste di ponte per ulteriori manovre di accerchiamento. Fonti militari denunciano problemi di coordinamento e una grave carenza di uomini, mentre la popolazione civile, già ridotta a poche migliaia di abitanti, affronta nuove evacuazioni. Zelensky avverte che Mosca prepara offensive anche su Zaporizhia e Novopavlivka.
La Casa Bianca presenta il vertice come un “esercizio di ascolto”, ma le indiscrezioni sulle condizioni avanzate da Putin – ritiro completo da Donetsk e Lugansk, riconoscimento della Crimea e, in alcune varianti, congelamento del fronte lungo le attuali linee di contatto – sollevano forti perplessità. La promessa di non invadere più l’Ucraina, offerta in cambio, incontra ampio scetticismo.
Il filosofo politico Michael Walzer teme che l’Ucraina possa diventare la moneta di scambio per le ambizioni personali di Trump, interessato a presentarsi come l’artefice di un accordo storico, anche a costo di un compromesso che indebolisca la coesione europea. Bruxelles e le altre capitali occidentali seguiranno i lavori in videoconferenza, ribadendo che qualsiasi intesa dovrà coinvolgere Kiev.
Con le truppe russe all’offensiva e un negoziato in cui l’Ucraina rischia di essere marginalizzata, il vertice di Anchorage appare destinato a decidere se il conflitto avrà una tregua fragile o un nuovo e pericoloso capitolo.