Le nuove rivelazioni in un libro
NEW YORK — La donna che morì due volte: ma solo una fu salvata. Sei anni prima di essere ritrovata senza vita nel letto della sua casa di Brentwood, il 4 agosto 1962 – uccisa da quell’overdose di farmaci che ancora dà adito a sospetti e supposizioni, giacché fu ritrovata con la cornetta del telefono in mano come se volesse chiedere aiuto – Marilyn Monroe, la leggendaria attrice più sexy di Hollywood, aveva sfiorato la morte almeno un’altra volta. E in circostanze ben più squallide. Lo racconta un libro in uscita il prossimo 16 aprile intitolato “The Fixer: Moguls, Mobsters, Movie Stars and Marilyn”, di cui protagonista in realtà non è l’esplosiva diva bionda che intrecciò relazioni carnali con John e Bob Kennedy – all’epoca rispettivamente presidente e ministro della Giustizia degli Stati Uniti – ma il noto e controverso detective Fred Otash, che riuscì a salvarla una sola volta: (la seconda, si sussurra, la lasciò morire).
Otash era un ex poliziotto diventato tuttofare degli studios, che lavorava pure per il famigerato tabloidConfidential cui procurava gli scoop. Di fatto àncora delle star nei momenti di crisi – l’unico capace di tirarle fuori dai guai con discrezione – ma allo stesso tempo minaccia costante a causa dei troppi segreti appresi. Un uomo ingombrante, insomma: morto nel 1992 a 70 anni, in passato si vantò d’altronde di aver messo microfoni- spia in tutti gli stabilimenti balneari della costa californiana, aver spiato le liaison omosessuali di Rock Hudson e aver appunto ascoltato i rantoli finali di Marilyn nel suo letto di morte, poche ore dopo essere stata scaricata da Bob e averlo cercato invano al Dipartimento di Stato. Un uomo così estremo, Otash, da essere diventato leggenda: ispirando la figura del detective Jake Gittes interpretato da Jack Nicholson in “Chinatown” e ripetutamente utilizzato dal giallista James Ellroy nei suoi romanzi, fino a farne il protagonista assoluto del suo recente “The Enchanters”: che proprio alla morte di Marilyn si ispira.
Ebbene, in un’anticipazione di “The Fixer”, il libro in uscita firmato da due veterani di Hollywood, Manfred Westphal (che intervistò a lungo il detective) e Josh Young si scopre che già nel 1956 Otash aveva avuto a che fare con Marilyn: salvandola da un’overdose di eroina. Era accaduto un sabato di primavera: quando Maurice Adler, produttore di “Da qui all’eternità”, l’aveva convocato alle 9 del mattino da Nate n’ Al’s a Beverly Hills: gastronomia ebraica senza pretese, amatissima da dive come Rita Hayworth, Ava Gardner e Doris Day (che, secondo la leggenda, ci si fermava ogni mattina in accappatoio per prendere un bagel con crema di formaggio). Il produttore ora lavorava al nuovo progetto di 20th Century Fox, un film intitolato “Fermata d’autobus” di cui Monroe era protagonista. Adler andò dritto al punto: «Marilyn è scomparsa. Non si è presentata sul set, né ha chiamato per spiegare la sua assenza. Nessuno la vede o sente da 24 ore». Adler spiegò che pure il fidanzato Arthur Miller – il drammaturgo che avrebbe successivamente sposato – era preoccupato. Ma soprattutto che la sua assenza costava agli studios 40mila dollari al giorno e non la si poteva nemmeno rimpiazzare perché le riprese erano troppo avanzate. Otash, insomma, doveva assolutamente trovarla.
Per quella vecchia volpe di detective, in realtà, non fu complicato: aiutato da due colleghi (uno dei quali aveva a lungo pedinato la star per conto dell’ex marito Joe DiMaggio e ne conosceva già i più luridi segreti) setacciò le liste degli ospiti di diversi hotel. Individuandola sotto il nome Pearl Baker, quello della madre, in un motel da pochi soldi a Santa Monica. Fecero irruzione e rimasero sconvolti. Su un letto trovarono infatti la diva completamente nuda, immobile in posizione fetale, circondata da aghi e siringhe. Ancora viva ma incosciente. Con lei c’era un uomo in mutande, noto spacciatore d’eroina. Agirono in fretta: rivestirono l’attrice, la caricarono su un’ambulanza e la fecero ricoverare in una clinica discreta, dove si risvegliò ore dopo. Il pusher fu invece messo su un bus per San Francisco, con un biglietto di sola andata.
Non fu certo l’unico “fattaccio” in cui Otash riusltò coinvolto. Per dire, fu proprio lui a far “pulizia” nella casa di un’altra star dell’epoca, Lana Turner, la notte del 1958 in cui il suo fidanzato mafioso Johnny Stompanato fu pugnalato a morte. Secondo la versione ufficiale a ucciderlo fu la figlia 14enne di Lana, Cheryl, per difendere la madre dal compagno manesco. Ma restarono sempre i so spetti che fosse stata proprio Turner a pugnalarlo, e Otash a trovarle l’alibi: se riconosciuta colpevole avrebbe dovuto dire addio alla carriera e gli studios avrebbero perso migliaia di dollari. Ecco perché il libro è attesissimo: chissà quanti altri segreti può ancora svelare.