Depeche Mode
Bruno Ruffilli
Nel libretto del nuovo disco dei Depeche Mode c’è una foto che ritrae Dave Gahan e Martin Gore di spalle, di fronte a una skyline da metropoli americana. Il bianco e nero è quello solito di Anton Corbjin. Gahan ha le mani alzate, i pollici toccano gli indici a disegnare degli occhiali: quelli di Andy Fletcher, morto neanche un anno fa. Lui non c’è, ma il sole proietta la sua ombra a terra, insieme a quelle dei due compagni.
Memento Mori è questo: il lavoro di una squadra di eccellenti musicisti e di un fantasma. Meglio, di molti fantasmi. Quello di Gahan stesso, morto per due minuti il 28 maggio 1996: overdose da eroina e cocaina, il cuore che smette di battere, poi la corsa verso l’ospedale e il ritorno alla vita. Gore ha lottato a lungo con lo spettro dell’alcolismo, Fletcher è finito in cura per un esaurimento nervoso, i Depeche Mode hanno dovuto fare i conti con il vuoto lasciato prima da Vince Clarke e poi da Alan Wilder. Ma, al quindicesimo capitolo di una storia lunga 43 anni, sono una band di culto con un pubblico da popstar. E un frontman che cita tra le sue influenze Rolling Stones, Neil Young e Kraftwerk (la loro We Are The Robots viene ripresa quasi letteralmente in People Are Good). E Bowie, da cui tutto è cominciato: fu ascoltando Gahan cantare una cover di Heroes che Gore e Fletcher decisero di chiamarlo con loro. Nell’ultimo tour dei Depeche Mode quella canzone chiudeva i concerti, un omaggio sentito e rispettoso al Duca Bianco.
Stavolta manca un riferimento diretto, eppure nella voce di Gahan è impossibile non scorgere un’eco di Bowie; in Ghosts Again c’è lo stesso sconcerto di Where Are We Now; Soul With Me potrebbe essere una ballata glitter dell’era Young Americans. Scritta e cantata da Gore, è una delle tante canzoni dei Depeche Mode che parlano di morte; già Fly On the Windscreen (1986) si apriva con un verso rivelatore: «Death is everywhere». E Memento Mori ricorda Black Celebration, non solo per l’oscurità dei testi, ma anche per il messaggio complessivo: la morte è dietro l’angolo, quindi la vita va vissuta il più possibile, senza paura di inciampare e rialzarsi. Per questo in Caroline’s Monkey, Gahan canta: «Scomparire è meglio di fallire / Cadere è meglio di sentire / Piegarsi è meglio di perdere / Riparare è meglio di guarire», ma poi conclude: «Qualche volta».
Non c’è cinismo, non c’è desolazione di fronte al tempo che passa, solo un crescente senso di spaesamento. Che nei Depeche Mode esiste da sempre: partiti da una cittadina dell’Essex, hanno venduto 100 milioni di dischi, sono finiti pure nella Rock’n’roll Hall Of Fame ma sono rimasti degli outsider, un po’come i connazionali The Cure. Per anni è stato il solo Gore a scrivere testi e musiche, poi Gahan ha cominciato a contribuire con i suoi brani. In Memento Mori, per la prima volta, c’è una canzone firmata da entrambi (Wagging Tongue), ma anche quattro composte da Gore con il cantante degli Psychedelic Furs, Richard Butler. «Non ho mai scritto con nessuno fuori dalla band – dice Gore al New Musical Express – Richard mi ha mandato un messaggio nell’aprile 2020, per dirmi’Dovremmo scrivere qualcosa insieme’. Alla fine abbiamo composto sette canzoni. La prima non ci piaceva, ma le altre sei erano così belle che ho pensato che sarebbe stato uno spreco pubblicarle come progetto collaterale». Memento Mori è stato concepito prima della scomparsa di Fletcher: «Avevamo anche il titolo – racconta Gahan – Fletch aveva in programma di unirsi a noi, circa 5-6-7 pezzi erano pronti, poi è venuto a mancare e tutto è cambiato. Abbiamo dovuto ripensare ogni cosa, innanzitutto se continuare o meno, ed eravamo d’accordo: volevamo finire il disco». Per farlo hanno chiamato il produttore James Ford (Gorillaz, Arctic Monkeys, Pet Shop Boys) Davide Rossi agli archi (Coldplay) e l’ingegnere del suono Marta Salogni (Björk, Subsonica), coautrice di Speak to me. Ne sono nati dodici brani a partire dalla teatrale My Cosmos Is Mine: musica elettronica calda e attualissima, che però sembra uscita da qualche archivio segreto degli Anni 80. Non è nostalgia né revival, è quello che i Depeche Mode sanno fare al meglio: Memento Mori è il loro album più importante da una ventina d’anni in qua, da mettere accanto a Violator e Songs Of Faith and Devotion. Nel cuore dei fan queste canzoni un posto ce l’hanno già.