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I nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti – fino al 50% sulle esportazioni di India e Brasile – stanno ridisegnando equilibri geopolitici e commerciali. La decisione della Casa Bianca, motivata ufficialmente con la necessità di colpire l’acquisto di petrolio russo e presunti comportamenti sleali, ha innescato una reazione che va ben oltre la sfera doganale.
A Brasilia, Luiz Inácio Lula da Silva ha definito “un’umiliazione” l’ipotesi di una telefonata con Donald Trump, preferendo affidarsi al ricorso presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio. In parallelo ha intensificato i contatti con il premier indiano Narendra Modi, anch’egli colpito duramente dalle tariffe, in vista di un incontro con Xi Jinping nell’ambito della Shanghai Cooperation Organization. Per Modi il contraccolpo è pesante: l’India si era guadagnata il ruolo di alternativa affidabile alla Cina nelle catene di fornitura globali, soprattutto per le multinazionali americane. Ora, con tariffe più alte persino di quelle imposte a Pechino, il progetto di “friendly-shoring” promosso da Washington rischia di perdere credibilità.
Il contesto favorisce una riattivazione politica dei BRICS, oggi allargati a dieci membri – dal Sudafrica all’Indonesia – che si propongono come piattaforma alternativa al G7. Al vertice di luglio a Rio de Janeiro, Modi ha spinto per un’agenda “people-centric” e per la riforma di organismi globali come ONU e WTO. Dietro le dichiarazioni, però, restano profonde divergenze: Brasile e India hanno da tempo barriere contro il “made in China”, mentre Pechino cerca nuovi mercati per compensare la chiusura di quello statunitense.
L’inasprimento dei rapporti con Washington potrebbe consolidare temporaneamente un asse Brasile-India-Cina, ma la coesione resta fragile. La spinta verso la de-dollarizzazione, sostenuta da Pechino e appoggiata da Lula, trova in Modi un alleato prudente, consapevole che il legame con l’economia americana resta cruciale per la crescita indiana. In questo quadro, i dazi di Trump indeboliscono la fiducia nelle promesse di apertura commerciale degli Stati Uniti e alimentano la narrativa di un Sud Globale costretto a fare fronte comune. Ma le rivalità interne e gli interessi divergenti rendono improbabile, almeno per ora, la nascita di un fronte antioccidentale compatto.