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27 Gennaio 2024Arezzo Visita al cantiere di manutenzione del ciclo di affreschi nella basilica di San Francesco da oggi aperto al pubblico e già sold out. Un faccia a faccia con la bellezza che è magia da Sindrome di Stendhal
di Salvatore Mannino
È un privilegio che pochi visitatori nel corso dei secoli hanno avuto: vedere gli affreschi di Piero della Francesca, il ciclo pittorico della Leggenda della Vera Croce nella basilica aretina di San Francesco, a un palmo di naso, a un metro di distanza, praticamente faccia a faccia con le figure algide e geometriche di un capolavoro del Rinascimento, patrimonio dell’umanità.
Non c’è riuscito Balthus, che pure fra i personaggi di Piero sognava di camminare prima ancora di venire ad Arezzo, non c’è riuscito Botero, che dagli affreschi fu stregato in una bottega di Madrid, abbandonando l’idea di raggiungere Parigi per precipitarsi a San Francesco, non ci sono riusciti scrittori come Albert Camus, John Dos Passos e Gabriel Garcia Marquez. È invece la fortuna che tocca adesso agli appassionati: da oggi al 12 marzo potranno salire sui ponteggi dell’intervento di manutenzione appena cominciato e vedersela vis-a-vis con Adamo, la Regina di Saba, Salomone, Sant’Elena e il figlio, l’imperatore Costantino, vincitore della battaglia di Ponte Milvio, forse la scena più famosa dell’intero ciclo.
Un punto di vista «particolare» di cui ieri ha goduto un manipolo di giornalisti invitati all’anteprima per la stampa di un’iniziativa che è già sold-out, nel senso che andrà avanti fino al 12 marzo, ma i biglietti (35 euro a testa, i privilegi si pagano) sono esauriti da giorni. L’emozione è forte, la suggestione anche: sembra quasi di essere sul set o in una scena del Paziente inglese , il film da Oscar in cui Juliette Binoche si dondola al lume di una lanterna, sulla corda tenuta dal fidanzato, ufficiale indiano, naso a naso con le figure sopra ricordate. Solo che quella era una riproduzione, un effetto speciale cinematografico, realizzato per giunta in un ambiente apocrifo, quello del Duomo di Pienza, questa invece è realtà, qui è tutto vero. Stefano Casciu, direttore del Polo Museale della Toscana, che gli affreschi li gestisce e cura, insieme alla Fondazione «Arezzo Intour», emanazione del Comune, parla di «necessaria manutenzione» che si trasforma in occasione di visibilità; il sindaco Alessandro Ghinelli, prima di salire anche lui sui ponteggi, di «link fra conservazione e fruizione», il suo assessore alla cultura, Simone Chierici, che è anche presidente della Fondazione, di «problema diventato opportunità». Poi tutti su per le scale del preziosissimo ponteggio, come i normali turisti che da oggi potranno salire a gruppi di sei, in visite guidate che avranno la durata di un’ora.
Il ciclo, si sa, è l’illustrazione pittorica di una famosa opera medioevale, la Leggenda aurea di Iacopo da Varagine, ossia di come l’albero germogliato da Adamo sia diventato il legno della Croce in cui morì Gesù Cristo, poi ritrovato da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino che proprio nel segno della Croce vincerà la decisiva battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio. Già l’emozione di vederlo dal basso, dal pavimento della Cappella Bacci è enorme, ma averlo di fronte faccia a faccia è quasi una magia da Sindrome di Stendhal. A un passo, le geometrie di Piero, maestro della prospettiva, sono ancora più evidenti, i colori del Gigante di Sansepolcro ancora più vivi. Qualcuno tra i giornalisti non ce la fa a reggere la suggestione e chiede di scendere prima di sentirsi mancare. Per chi resta c’è il susseguirsi, in senso inverso, delle varie scene: in basso la conclusione, ossia la grande battaglia di Costantino e il Sogno della notte prima (In hoc signo (la Croce) vinces ), in alto, a quindici metri di altezza, quasi un dipinto appollaiato, la morte di Adamo. Sotto, al livello intermedio dei quattro del ponteggio, il maestoso incontro fra la Regina di Saba e Re Salomone, quasi un compendio della potenza delle figure di Piero.
Domina tutto (ma dalla cappella non si vede, solo dalle navate della Basilica) una grande opera semisconosciuta, quella sì in via di restauro nel corso di questo intervento, come ricorda Casciu: il gigantesco Crocifisso del Maestro di San Francesco, probabilmente un allievo di Cimabue, autentico capolavoro d’arte del Medioevo maturo (XIII secolo). Eppure anche questo lavoro, che in un altro scenario basterebbe da solo ad attirare i visitatori, si perde dinanzi alla suggestione del Piero visto da vicino.
Pensare che due secoli fa, in epoca napoleonica, si progettò di demolire il Ciclo per trasformare la chiesa in quel grande teatro che ancora Arezzo non aveva. Allora Piero non godeva di grande fama, fu riscoperto dopo la metà dell’Ottocento, prima veniva considerato un minore di scuola umbra. Potremmo dire come i tifosi del Napoli dopo il primo scudetto di Maradona, con le scritte indirizzate ai defunti sui muri dei cimiteri: «Mamma, cosa vi siete persi». Ecco: cosa ci saremmo persi senza gli affreschi di Piero.