Pd e M5S, le inutili opposizioni
14 Febbraio 2023È l’arroganza delle nomenclature che spinge alla rassegnazione
14 Febbraio 2023
di Venanzio Postiglione
Ma gestire le vittorie è materia infuocata. Questo governo appare stabile, senza alternative, con due possibili ostacoli: il primo è interno (farsi male da soli), il secondo è esterno (il rapporto inutilmente difficile con l’Europa e le sorprendenti divisioni sull’Ucraina). Non solo. Guidare Palazzo Chigi e 15 Regioni su 20 spazza via gli alibi: adesso i timonieri si prendono tutta la gloria (che è eventuale) e tutto il peso (che è certo).
La Lombardia è un film di fantascienza dove il tempo si restringe e dove cinque anni sembrano cinquanta. Regionali del 2018: Lega al 29,6 per cento e Fratelli d’Italia al 3,6. Regionali di ieri: Lega attorno al 17 e Fratelli d’Italia attorno al 26, cioè Meloni primo partito nella terra dove il Carroccio è nato e cresciuto. Però c’è un però. Il confronto con le Politiche fa respirare Salvini. La forbice di 13,7 punti dell’anno scorso è diventata piccola, anche perché alla Lega va sommata la lista Fontana: adesso i Fratelli sono avanti di poche lunghezze. Un derby con Meloni comunque avanti, visto che la premier è ancora in sintonia con l’elettorato e visto che Palazzo Chigi è la vetrina per eccellenza. La Lega che doveva sfondare in tutta Italia, un’altra epoca, ora si tiene abbracciata al Nord: ma stavolta si rianima e batte un colpo. Ha il suo presidente, Attilio Fontana, voluto e rieletto, confermando l’asse da Milano a Trieste passando per il Veneto.
Ma come governerà Fontana dopo aver stravinto, anche al di là delle previsioni? Diventerà il capo di tutta la coalizione, con uno scatto politico, o sarà il portabandiera di una Lega in cerca di riscossa? Troverà un diverso equilibrio nella giunta, di fronte alle ambizioni di Fratelli d’Italia? Metterà mano (e come) al mondo della sanità dopo il buio del Covid? Più che una giunta bis, si dovrà aprire una stagione nuova. Con una politica all’altezza o almeno quasi all’altezza di una Regione tra le più moderne e dinamiche del mondo (non è retorica, stiamo parlando di idee, imprese, lavoro). Fontana trionfa, i dati sono dati, ma la potente sfiducia nei partiti e il deserto delle urne riguarda tutti.
Nel Lazio la vittoria di Francesco Rocca è netta, anche senza il record della Lombardia. Giorgia Meloni rilancia il momento di grazia e vola con un elettore su tre, la coalizione tutta si conferma litigiosa in tempo di pace e unita come una falange prima delle elezioni. Che è un merito. Ma, anche qui, Rocca ha davanti a sé una montagna e fa bene a dirlo: la sanità, tanto per cambiare, e poi un’intera macchina che va a dieci all’ora. Non basta. Il neo-presidente conosce i risultati poco brillanti, perché ci piacciono gli eufemismi, ottenuti dal centrodestra quando ha governato il Comune di Roma e la Regione Lazio. Di qui un purgatorio lungo e complicato. Una vittoria non è una svolta: la svolta è rivedere programmi, abitudini, legami, consuetudini, prospettive. Non poco.
Il centrosinistra non ha giocato. E forse era anche difficile farlo a pochi mesi dalle Politiche. Le alleanze a geometria variabile, a seconda della Regione, servono al mal di testa, nel senso di aggravarlo. Ma, a vedere i risultati, anche se l’esercizio è accademico, neppure un campo largo con le opposizioni unite avrebbe cambiato la storia di questo voto. La discussione a sinistra su Letizia Moratti, se appoggiarla o meno, che ha affascinato le migliori menti del Paese, si infrange contro un dato di gran lunga inferiore alle aspettative. Ma il punto politico è un altro. Il tentativo dei Cinque Stelle e del Terzo Polo, cioè togliere consensi e futuro al Pd, prendendosi i voti movimentisti e quelli moderati, non è andato da nessuna parte. I democratici sono vivi e aspettano il proprio leader, che un giorno arriverà, mentre gli alleati-rivali devono rifare i conti. Con la politica del gambero e con sé stessi.
Sembra paradossale, detto così: ma il nuovo segretario del Pd non dovrà avere fretta. Le alleanze saranno il passaggio finale e non iniziale. Prima bisogna scendere dall’alta velocità e prendere i treni dei pendolari. I democratici, adesso, governano le grandi città da Torino a Napoli passando per Milano, Bologna, Firenze, Roma. La linea del Frecciarossa. Come una metafora. L’Italia che corre (e costa cara) e non quella della provincia e di 15 Regioni che vanno dal Piemonte alla Sicilia. Ci sono giorni in cui a Milano si arriva prima da Bologna che dall’hinterland.
Con le opposizioni ferme, incerte, la maggioranza ha tutto il campo per giocare. Che non vuol dire vincere. Le sfide sono così numerose che è difficile elencarle: ma vengono subito in mente i rapporti con gli altri Paesi e l’avvio dell’autonomia. L’ultimo miglio di Giorgia Meloni deve prevedere che l’Italia sia una grande Nazione europea (come è davvero) e non lo studente che cerca scuse o arriva in ritardo o arringa la classe. Se poi gli alleati corteggiano Putin all’estero e le corporazioni in casa, allora, certo, diventa tutto più complicato.
E il dubbio del giorno, se l’autonomia si rafforza o si indebolisce, rimane senza risposta. Si rafforza, considerando la vittoria di Attilio Fontana e la ripresa della Lega. Si indebolisce, visto che i Fratelli sono «d’Italia» per definizione e nel Lazio sono alle stelle e la Nazione non può diventare le Nazioni. Nei giorni pre-voto i fortunati contatti whatsapp di un dirigente leghista (e candidato) della Lombardia hanno ricevuto uno strepitoso video di 4 minuti e 32 secondi. Sulla forza della Regione. Non per il Cenacolo o la Certosa di Pavia, non per i laghi e le Alpi, neppure per le sue imprese: ma per la preparazione della cotoletta, «che non ha niente a che vedere con la schnitzel viennese». Dallo stesso divulgatore, o chi per lui, anche dalla stessa cucina, i milanesi, i romani e l’Italia intera si aspettano di capire come sarà davvero l’autonomia, con quali spese, quali risorse, quali vantaggi, quali contrappesi, quali percorsi. L’impanatura è tutto.
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