Domenica sera al mio seggio non c’era nessuno, solo gli scrutatori dedicati a un lavoro impegnativo, lunghissimo (16 ore di turno domenicale) e soprattutto frustrante vista la quasi totale assenza di “clienti” disposti a riempire le schede elettorali. Un deserto previsto, con l’astensionismo indicato come il vero vincitore delle due tornate regionali. E tuttavia nessuno immaginava un addio alle urne così profondo, sia nel Lazio che in Lombardia.

Molte e molto indagate, le cause. Prima fra tutte il progressivo distacco da questa politica segnata da una progressiva perdita di senso, orfana persino della speranza che il governo, in questo caso quello regionale, possa migliorare la nostra vita quotidiana, aiutarci nei nostri bisogni essenziali: curarsi, muoversi, abitare, non morire d’inquinamento.

Un distacco particolarmente doloroso se solo pensiamo alle sofferenze provocate dalla Pandemia proprio in Lombardia, il territorio italiano più inquinato d’Europa, la regione con più morti da Covid, con uno dei peggiori servizi sanitari territoriali, con assessori cacciati per il massimo dell’incompetenza. Ebbene il presidente Fontana, il maggiore responsabile, è stato rieletto dai cittadini lombardi, seppure con circa 2 milioni in meno di partecipanti al voto rispetto alle politiche del 25 settembre.

Viceversa nel Lazio, con la giunta Zingaretti che aveva gestito al meglio l’emergenza pandemica, il candidato presidente D’Amato, cioè l’assessore alla sanità che aveva saputo affrontare il Covid, ha perso di fronte al signor nessuno uscito dal cilindro di Giorgia Meloni. E da domani le destre, le stesse che negli anni passati avevano provocato un colossale buco di bilancio sanitario, saranno alla guida della Pisana.

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Un’Italia delle diseguaglianze, non è più tempo di pax salarialeÈ vero, le elezioni regionali insieme alle europee sono tradizionalmente le meno frequentate, ma proprio la pandemia le aveva, di botto e prepotentemente, riportate sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Naturalmente l’elettore ha sempre ragione e dunque questa massiccia diserzione in realtà indica il vicolo cieco in cui è finita ogni forma di rappresentanza, testimonia l’estenuazione della sua incapacità di penetrazione sociale. Tra l’altro il colmo è che questi presidenti di regione, proprio loro, i meno votati della storia, sono gli stessi che chiedono più poteri con la legge Calderoli sull’autonomia differenziata.

Tuttavia dentro questo deserto della partecipazione ci sono poi i vincitori, le destre, e i vinti, le sinistre di ogni ordine e grado. Vincitori dimezzati, Fontana e Rocca, perché azzoppati dallo sciopero del voto, ma vincitori netti. E perdenti con grande distacco, Majorino e D’Amato, politici replicanti della tafazziana sconfitta del 25 settembre. Persino più vistosa e bruciante la performance della coalizione progressista in Lombardia, rispetto al risultato laziale: sostanzialmente di tenuta per il partito di D’Amato, quanto catastrofico per il Movimento di Conte, doppiato dal Pd. Il leader del M5S alla fine punito nelle velleità senza costrutto di andare da solo a sbattere contro il muro.

Ancora una volta (ma sembra non bastare mai) l’elettorato progressista e di sinistra ha rifiutato le forme e i contenuti di chi bussa alla porta per chiedere il consenso. Ma soprattutto non sopporta più le divisioni del proprio campo. Diversamente non si spiega perché anche la linea più sociale dei pentastellati non sia stata premiata rispetto al decennale moderatismo piddino, peraltro penalizzato dall’astensionismo record della roccaforte romana (per la cronaca la sinistra-sinistra di Unione popolare langue all’1%).

Specialmente rispetto alla capacità delle destre di marciare unite, noi ci ritroviamo un ceto politico dedito soprattutto alla conta dei propri voti, concentrato sulla perpetuazione di se stesso, gattino cieco sul ruolo da svolgere come una robusta e credibile opposizione, ben decisa a diventare avversario temibile per le destre. Così ridotte, oggi, le opposizioni appaiono, e sono, inutili agli occhi di chi trova ancora la voglia e la forza di impegnarsi per un paese democratico, socialmente giusto, europeista, antiregimi, libertario.

Se invece vogliono avere voce autorevole nella battaglia politica, allora devono iniziare a guardare oltre i loro confini. In particolare la nuova segreteria del Pd, Conte, Verdi, Sinistra italiana devono mettere le basi per un’alleanza strategica, capace di conquistarsi la fiducia degli italiani, l’unica che può riportarli alle urne. Su 18 regioni 14 sono andate alle destre, oltre al governo nazionale. Ancora non basta?