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Il Commento al Vangelo di Giovanni del teologo medievale Meister Eckhart. Alla Biennale arriva “l’inaudito”
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Quando nell’ultima decade del Quattrocento un pool di valenti architetti e di abili “taiapiera” rimisero in piedi, dopo un disastroso incendio, il Portego delle Colonne e quel che tuttora ci sta sopra, nell’edificio che era stato donato dai domenicani di San Giovanni e Paolo alla confraternita della Scuola Grande di San Marco, il Magister domenicano Johannes Eckhart da Hochheim, il Meister Eckhart, sommo teologo e mistico, aveva oltrepassato da più di un secolo la soglia del mistero. Difficile dire se per la gioia eterna o per l’eterna dannazione, dacché secondo Santa Romana Chiesa era morto scomunicato, anzi scomunicato un anno dopo la morte, 1329, da Papa Giovanni XXII. Nel processo iniziato dall’arcivescovo di Colonia era accusato di cento eresie, a Roma sopravvissero ventisei accuse e solo quindici tesi furono bollate di eresia. Vuoi perché sosteneva che “Dio non poté creare il mondo prima, perché una cosa non può agire prima di essere; perciò, appena Dio fu, subito creò il mondo”, vuoi perché “in ogni opera, anche cattiva, si manifesta e riluce ugualmente la gloria di Dio”, vuoi perché arrivava a dire che “noi siamo trasformati totalmente in Dio e mutati in lui” ondeggiando tra panteismo ed esiti di acuto nichilismo: “Tutte le creature sono un puro nulla; non dico che siano poca cosa o qualcosa, ma che sono un puro nulla”. Alcuni pensieri non dissimili sono contenuti anche nel suo Commento al Vangelo di Giovanni. Opera siderale che sullo scorcio del XV secolo non era più, forse, di bruciante attualità nelle dispute teologiche e universitarie come lo era stata ai tempi in cui alla Sorbona discutevano calibri come il Meister, Tommaso e Bonaventura; ma che da lì a poco, soprattutto per certe sue critiche interpretative e sulla libertà interpretativa delle Scritture, sarebbe tornata prepotente nel Tesi di un altro monaco tedesco, agostiniano però, fattosi religioso nella Erfurt da cui anche Johannes Eckhart aveva preso le mosse.
Cinque secoli dopo la costruzione di quel capolavoro veneziano, e sette secoli dopo essere state scritte, le cime abissali della riflessione del mistico tedesco sul Vangelo di Giovanni – abissale la sua parte – sono giunte a risuonare nello spazio del Portego delle Colonne, che oggi è l’ingresso dell’Ospedale di San Giovanni e Paolo. Prose poetiche come questa: “Una grande aquila dalle vaste ali e dalle ampie membra, ricca di piume di vario colore, venne al Libano e prese il midollo del cedro. Strappò la cima dei suoi rami e li trasportò nella terra di Canaan. L’aquila pone in alto il nido da dove osserva, contempla e predica, tra le rocce scoscese e le rupi inaccessibili”. Una scelta ardita e intensa, se a tenere bordone alle parole c’è il canto gregoriano che modula i testi liturgici di Giovanni, e alcune melodie “patriarchine”, tipiche del canone veneziano. Ma chi ha potuto assistere alle cinque serate, raddoppiate in replica fino a oggi, della Expositio Sancti Evangelii Secundum Iohannem di Meister Eckhart con la bella regia e drammaturgia di Antonello Pocetti, già protagonista in Laguna lo scorso anno del Prometeo, “tragedia dell’ascolto” di Luigi Nono, può testimoniare della qualità dell’intuizione e dell’esecuzione di questo progetto. Nato e cresciuto in un luogo inconsueto per questi linguaggi, la Biennale di Venezia. Anzi la “Biennale della Parola”, nuova sezione che porta l’imprinting di Pietrangelo Buttafuoco, presidente dall’autunno 2023. Che ha immaginato e voluto un nuovo ambito in grado di arricchire l’orizzonte veneziano. La mise en scène della Expositio è un progetto dell’Archivio Storico della Biennale, che è molto di più di un deposito del passato, pensa e agisce da vero centro di studi, e che sotto la guida di Debora Rossi “estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”, per dirla con un altro evangelista.
Dunque brani del commento di un teologo e mistico al Vangelo più profondo e affascinante; tre voci che ritornano in tutte le cinque sere, Dario Aita, Federica Fracassi e Leda Kreider; le immagini elettroniche diAndrew Quinn che avvolgono le voci del Coro della Cappella Marciana, a loro volta tutte intorno, impegnate nei testi liturgici di Giovanni sotto la direzione del maestro Marco Gemmani. Ecco il bordone, e un breve silenzio, poi: “Et verbum caro factum est”, un responsorio patriarchino. “Una grande esperienza essere stati chiamati qui”, dice il maestro. E la Voce: “In principio erat verbum et verbum erat apud deum. E Dio disse: fiat lux, et facta est lux; et vidit deus lucem quod esset bona, et divisit lucem ac tenebras”. Il Prologo, la prima serata.
“Esiste una modernità che ha costruito codici che hanno la funzione di evacuare l’esperienza. Per la modernità nichilista ognuno, le nostre vite, è una casella con una data di scadenza. Per questo credo che ci sia, come ha detto introducendo la prima serata il cardinale Tolentino de Mendonça, una cappa di logos silente da rompere”, ci spiega
Buttafuoco per indicare la traiettoria del percorso. Una particolarità di questo progetto ricco di fascino, crossover fra teatro, musica, immagine (digitale) e riflessione filosofica, è che ogni passo del commento del Magister è stato introdotto da un relatore diverso. Il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero della Cultura della Santa Sede, il grande filosofo tedesco Peter Sloterdjik, Cristiana Collu direttrice della Fondazione Querini Stampalia, la classicista Monica Centanni e il patriarca di Venezia Francesco Moraglia. Non credi, chiediamo a Buttafuoco, che sia una sfida stridente portare qui, in quello che è un tempio mondiale dell’espressione contemporanea in tutte le arti, una parola religiosa e mistica del medioevo, persino eretica? “Ma la contemporaneità non è un’anagrafe”, risponde, “è contemporaneo soltanto ciò che attinge alla profondità. Altrimenti non è contemporaneo, è soltanto coreografia”. Il tentativo è dunque scalfire quella che ha anche Tolentino ha chiamato “sordità”. Che cosa è necessario che il pubblico senta? “Il ritmo di Dio”, risponde. “Come una danza che entra e martella. Le parole del Prologo, come anche quelle di Eckhart, sono una danza che percuote l’orecchio anche di chi non vuole lasciarsi coinvolgere. Come quelle parole ritmate, ripetute dalle tre voci, con cui si è chiusa la prima a serata”. Eccole. Voce 2: “Anima mia, sii sorda, nell’orecchio del tuo cuore, al tumulto della tua vanità. Ascolta la parola”. Voce 3: “Anima mia, sii sorda, nell’orecchio del tuo cuore, al tumulto della tua vanità. Ascolta la parola”. Voce 1: “Anima mia, sii sorda, nell’orecchio del tuo cuore, al tumulto della tua vanità. Ascolta la parola”. Sono danza, sono ritmo.
Proprio al cardinale Tolentino è toccato il compito di fare il “pro-logo”, l’introduzione, all’antico eretico domenicano. “Venne nel mondo la Luce”. Gli chiediamo nella penombra del Portego: il pensiero di un mistico vissuto sette secoli fa può illuminare davvero la vita e la mente dei contemporanei? “Sì, perché innanzitutto lui ha vissuto con passione, per lui l’esistenza di Dio non era una faccenda laterale, un orpello esterno”, risponde con la sua voce invece pacata, “per lui la ricerca di Dio era importante perché lo è per tutti”. Prima di prendere la parola nel mezzo della sala a colonne il cardinale, che è anche poeta, parla di come il Magister può aiutare a dare suono alle parole che oggi appaiono sorde: “Lui ha inventato un linguaggio, questo è importante. Oggi abbiamo bisogno di un linguaggio per superare un apparente vuoto. Lui si è interrogato su come far risuonare quelle frasi profondissime, al limite della nostra capacità”. Il cardinale ricorda un altro grande intellettuale e teologo gesuita, un riferimento nel Novecento del tentativo di trovare un linguaggio che unisse la religione e le scienze umane, Michel de Certeau: “E’ ciò che ci ha indicato de Certeau nella sua Fabula mistica, in cui parla della ‘parola mistica’ come esperienza di marginalità, rinuncia”. Perdersi nella ricerca di Dio ma anche di nuovi linguaggi è ciò che accomuna Eckhart, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce. “La necessità allora come oggi di trovare una poetica. Sono molto convinto dell’opportunità oggi della proposta mistica. Un luogo di silenzio. Amo molto la definizione di de Certeau: mistico è colui che non smette di camminare. E’ la cosa che più può aiutare a superare la piaga del nichilismo”.
La parola cristiana è “uno scandalo perché è teomorfica”. E le parole abissali di Johannes Eckhart risuonano sfidanti per la bidimensionalità del moderno. Voce 1: “Similmente in natura un corpo caldo, ad esempio il fuoco, si rende simile ciò che è suscettibile di divenir caldo, e il calore è il principio con cui il fuoco rende caldo, ed è la parola con cui il fuoco si dice, si esprime o si manifesta, in quanto è caldo. Se l’architetto costruisse per mezzo della sua propria sostanza, in quanto è uomo e uomo determinato, allora la stessa casa all’esterno, suo effetto, sarebbe la parola con cui direbbe se stesso, la sua sostanza”. Voce 3: “Idea… ricevuta… astratta… idea… intelletto… idea… causa e idea delle cose… effetto… parola manifesta”.
“Il poeta Fernando Pessoa diceva che la nostra civiltà non si libererà mai dai greci”, dice Tolentino, un pensiero che piacerebbe anche a Buttafuoco. “E’ impossibile affrontare il Prologo del Vangelo di Giovanni senza tremare. Senza che sopravvenga su di noi lo scossone del timore e del tremore. Il prologo è un pro-logos, cioè un prepararsi a… E’ un ponte mobile che ci soccorre nell’ascesa, un risveglio propedeutico che ci prepara alla rivelazione, una freccia che si fa tesa nell’arco”. Nella mistica, nel nulla, in quello che per la chiesa dei tempi del suo rivale Tommaso era eresia, Tolentino trova invece la domanda per la cultura d’oggi, e non evita di accennare al grande scandalo che urge la civiltà occidentale, “scandalo per i greci, stoltezza per i pagani”, l’Incarnazione. “Addentrarsi nello spazio del mistero di Dio, come Tommaso, in un capitolo posteriore dello stesso Vangelo, pretendeva di addentrarsi nelle ferite delle mani e del costato del Risorto”. Perché poi quel Verbum che Eckhart scandaglia e insegue fino a perdersi s’è fatto carne. Non serate di spiritualità, ovviamente, piuttosto la teologia declinata come ancella di una filosofia che riguarda non l’antico ma il contemporaneo. Quel logos ammutolito – tra scienza, deserti esistenziali, nuove paure che si addensano e mutano come le immagini elettroniche tutto intorno, catene di Dna, sciami luminosi, segni grafici che precipitano – è l’interrogativo delle nostre riflessioni culturali, etiche, filosofiche. Quando non si perdono nella “coreografia”. Addentrarsi nella “non-conoscenza”. Dice Tolentino: “In questo senso, la raccomandazione del Maestro Eckhart è azzeccatissima: ‘E’ necessario che ci sia silenzio là dove questa presenza deve essere percepita. Non possiamo raggiungerla in modo migliore che attraverso il silenzio; lì la comprendiamo in modo corretto: nell’ignoranza!’”.
La contemporaneità è profondità. Del resto Meister Eckhart è stato attuale nei secoli, fonte di pensiero e di linee di fuga che arrivano all’oggi. Il maggior rappresentante della Mistica tedesca non ha vissuto nel silenzio che pure cercava, è stato voce e guida della crisi sociale, religiosa, e pure politica, del suo tempo. Ha ispirato uomini e donne in nuovi percorsi di spiritualità che sembravano chiusi. Ha dato loro nuova parola, mescolando la cultura classica e cristiana, il platonismo e le Scritture. Perché non lasciarlo risuonare oggi, quando le voci non convenzionali sono così rare? Certo può essere una sfida a chi è abituato a interrogarsi nelle Biennali d’Arte o Architettura solo sui destini materiali del pianeta, sulle doglie di un’umanità mutante, migrante. Ma appunto, dice Buttafuoco, è una sfida: “Ho voluto portare un inedito, e un inaudito. Se facciamo Berio, il Prometeo di Luigi Nono, se ascoltiamo il Bhagavadgita, e abbiamo questo vertice assoluto del pensiero europeo, perché non farlo parlare? Perché non riproporlo per quello che può far suonare oggi? La mistica è pensiero. Inedito e inaudito”. Una provocazione? “Una provocazione, ma senza prosopopea. Semplicemente un invito alla profondità filosofica, teologica”. Questo è andato in scena, ha danzato negli occhi e nelle orecchie, nella penombra raccolta di un luogo ispirato, il Portego della Scuola Grande di San Marco. Che però, oggi, è anche l’ingresso di un mondo di sofferenza reale, l’atrio dell’Ospedale di San Giovanni e Paolo attraverso cui tutte le mattine passano pazienti per una visita, un ricovero, una prenotazione del Cup. Perché poi il Verbo si è fatto carne, e “quando Giovanni scrisse al versetto 14 ‘il Verbo si fece carne’, ebbe bisogno di un sangue freddo ancora maggiore di quello che Pascal sentiva venir meno quando pensava alla vastità dell’universo”, dice Tolentino. Nell’ultimo numero del magazine 7 del Corriere della Sera è ripubblicata un’intervista a Marco Pannella (la serendipity potrebbe essere una variabile della mistica), rilasciata poco dopo la morte di Paolo VI. Pannella parla di Giovanni XXIII, del suo successore, “un sovrano assoluto”, della propria personale religiosità laica. Della figura di Paolo VI dice che in lui vi erano “sofferenza e tormento”. E che “da essi può anche scaturire l’ascesi, la catarsi, il tormento, la purificazione, che sono valori immensi ma irrimediabilmente privati”. Sintesi perfetta del pensiero laico contemporaneo rispetto alla religione. Meister Eckhart invece desiderava che il suo itinerario nel Logos di Dio – fatto anche di ascesi, di catarsi e purificazione – fosse qualcosa di non soltanto privato, nel chiuso silenzioso del chiostro, nelle aule, ma anche una strada nel mondo dell’umanità del suo tempo convulso. Lasciare risuonare oggi il suo linguaggio poetico come qualcosa di “non irrimediabilmente privato”, è la scommessa della Biennale della Parola.
La “Expositio” di Meister Eckhart al Portego delle Colonne. Un progetto teatrale e di idee in cinque serate della Biennale della Parola
Un mistico nel luogo della contemporaneità? “Contemporaneità non è anagrafe, altrimenti è soltanto coreografia”, risponde Buttafuoco La Voce: “Anima mia, sii sorda, nell’orecchio del tuo cuore, al tumulto della tua vanità. Ascolta la parola”.
Meister e il “ritmo di Dio” Tolentino: “Ha inventato un linguaggio, ed è questo che è importantepernoi”.Lasfidadilasciare risuonare parole oggi “inedite”