Nel suo quartier generale californiano il regista racconta il film su Robert Oppenheimer, inventore dell’atomica. “ Ho indagato il momento in cui la scienza ha deciso il nostro destino”
di Arianna Finos
los angeles
La chiamata di Christopher Nolan è improvvisa, e inaspettata. In volo verso Los Angeles, tredici ore per leggere l’Oppenheimer di Kai Bird e Martin J. Sherwin, 896 pagine premiate con il Pulitzer e diventate l’ispirazione per uno dei più influenti registi sulla terra. Il quartier generale di Nolan, non lontano dagli Universal Studios, è un villino silente, dove risuona subito la voce della produttrice e moglie Emma Thomas e l’abbaio del cane. Una serie di stanze luminose girano intorno a un piccolo patio, al muro foto e locandine di film e si arriva in sala montaggio. La figura di Nolan è molto britannica e un po’ fuori dal tempo: camicia bianca, blazer blu e foulard. Lavora con una giovane montatrice, nei dettagli più esiziali, al trailer diOppenheimer. Immagini, a colori e in bianco e nero, scorrono in fondo, e tracciano l’esistenza del fisico teorico tra le pagine epocali della storia contemporanea. «Sono stato adolescente negli anni Ottanta, al culmine della tensione tra America e Russia. — racconta — La campagna per il disarmo nucleare ci ha influenzato molto. Ci è stato costantemente ricordato e chiesto di riflettere sulla minaccia atomica e a 13 anni, come i miei amici, temevo di morire nell’Apocalisse nucleare. Da sempre sono interessato al paradosso e non credo ci sia nulla di più paradossale di un precario equilibrio di pace che poggia sul concetto di distruzione reciproca assicurata». La conversazione si sposta davanti a una tazza di tè, riempita più volte da una teiera foderata di stoffa fiorata. «Leggendo del Manhattan project, mi ha colpito il momento in cui, in base ai calcoli, si scopre che esiste il rischio, anche se piccolo, di incendiare l’atmosfera e distruggere il mondo intero. Malgrado questo vanno avanti, premono il pulsante. Ecco, il film cerca di metterti in quella stanza».
Oppenheimer esce il 21 luglio in Usa, da noi il 23 agosto con Universal, al debutto nella collaborazione con uno degli autori più rilevanti e ammirati del cinema mondiale. Come con la trilogia diBatman, Inception, Dunkirk, Interstellar eTenet, Nolan tenta di coniugare alte ambizioni intellettuali e un’attrattiva da grande pubblico e incasso.
C’erano riferimenti a Oppenheimer anche in “Tenet”.
«Sì, volevo dare al pubblico una base e una prospettiva su quel mondo fantascientifico. Poi mentre montavamo il film, Robert Pattinson mi ha regalato un libro di discorsi di Oppenheimer del dopoguerra: erano le lotte di una comunità scientifica che cercava di riflettere su ciò che aveva portato nel mondo e capire come gestirlo. Per la prima volta nella storia gli scienziati erano le persone più importanti, al centro della politica e della culturapopolare. Tutti si sono rivolti a loro per capire cosa fosse necessario fare e loro hanno faticato a trovare risposte.
Leggendo il libro di Bird e Sherwin, ho pensato che l’esperienza umana di Oppenheimer incarnava tutti questi paradossi, situazioni impossibili. È il singolo individuo che ha più cambiato il mondo, che lo ha reso quello in cui viviamo e in cui vivremo per sempre. Grazie al libro ho capito che potevo raccontare la sua storia letteralmente, non solo come metafora o riferimento, come inTenet ».
Una storia complessa, per molte ragioni. A partire dalla personalità di Oppenheimer, problematica fin dalla gioventù. Contraddittorio, ambiguo, seduttore seriale, instabile. Ma anche brillante motivatore, amante della poesia, studioso del sanscrito. Dopo il Trinity Test citò la frase: «Sono diventato Morte, il distruttore di mondi».
«Sì, è stato molto problematico. Come per tanti giovani gli ci è voluto un po’ per trovare sé stesso. Ed era nel bel mezzo dell’esercizio del suo formidabile intelletto nel campo della fisica quantistica. È diventato maggiorenne in un periodo in cui — da Stravinsky nella musica alla pittura di Picasso o all’Unione Sovietica che è nata con le idee di Marx — le strutture sociali, le leggi e le regole erano rimesse in discussione in ogni campo. Dal punto di vistacinematografico, c’è una connessione irresistibile tra le sue lotte personali e il modo in cui il mondo cercava di assorbire queste nuove idee, incomprensibili per il pubblico, alienanti per molti scienziati. Per i fisici è stato spaventoso non poter più visualizzare l’atomo, perché i campi di energia non sono oggetti fisici. Lo è stato anche per me, da regista, trovare il modo di visualizzarli. Fino ad oggi la scienza non è stata in grado di conciliare quelle nuove scoperte con la fisica classica. Quegli scienziati, Oppenheimer, hanno fatto uno straordinario salto d’immaginazione: da un’idea astratta, scientifica, che la gente riesce a malapena a capire, alla forza più distruttiva che sia mai stata imbrigliata e scatenata».
Con importanti implicazioni etiche e politiche.
«Nelle questioni moderne, dalla risposta al Covid ai cambiamenti climatici, il ruolo degli scienziati è difficile da conciliare con le necessità politiche. Succede a Oppenheimer. Nel dopoguerra il mondo politico si affida alla scienza perché lo guidi, ma anche perché sostenga le sue decisioni. Il metodo scientifico è però tutto incentrato sul porre nuove domande e mettere in discussione le certezze. I politici non sono a proprio agio con questo, si sviluppa molta tensione. Come è successo all’inizio della Guerra fredda con la Russia: non era facile rispondere alle questioni su come affrontare un futuro che prevedessetali armi su entrambi i lati della cortina di ferro».
La tragedia di Oppenheimer è anche ciò che succede dopo, l’allontanamento dalla vita pubblica.
«Oppenheimer e la sua storia sono una sorta di test di Rorschach per capire la potenza moderna e unica dell’America, con tutto ciò che c’è di grande e di terribile.
Oppenheimer era convinto che, dopo aver visto la potenza di un’arma nucleare, il mondo avrebbe compreso, cambiato le strutture governative, le relazioni tra gli Stati. È vero, non c’è stata un’altra guerra mondiale a causa della minaccia dell’Armageddon nucleare. Ma è stato ingenuo pensare che, a partire dall’America, i Paesi avrebbero rinunciato al controllo della propria sovranità e difesa, e che ci sarebbe stato un corpo internazionale di scienziati a controllare l’energia e la produzione. Su alcune cose era in anticipo sui tempi, su altre irrimediabilmente ingenuo. Ha sottovalutato la misura in cui l’establishment e le strutture consolidate assorbono qualsiasi nuovo sviluppo, per quanto enorme, piegandolo ai propri scopi, rafforzando lo status quo, piuttosto che portare il mondo in una nuova era utopica. Oppenheimer è stato un enigma. Perciò è così interessante da raccontare»?
Oppenheimer era un idealista o un pragmatico?
«Una combinazione speciale di entrambe le cose. La costruzione della bomba è stata l’apoteosi del pragmatismo: una teoria trasformata in arma pratica in due anni, impresa senza eguali nella storia umana. Ma Oppenheimer era idealista nel sostenere la condivisione internazionale della conoscenza. Ed era stato idealista nel suo flirtare con il comunismo, accettandone molte idee di base, negli anni Trenta. All’epoca il fascismo era visto come la minaccia più grande, quando è stato sconfitto l’intera cultura è cambiata. E Oppenheimer è stato colto dalla parte sbagliata della storia. La realtà è che gran parte del suo idealismo, del suo altruismo, gli sono stati ritorti contro quando è diventato scomodo per il mondo».
La guerra in Ucraina ha reso attuale la minaccia nucleare.
«Una terribile sorpresa. Quando ho iniziato il film, due anni fa, volevo richiamare l’attenzione del pubblico sulla minaccia nucleare, ma una nuova consapevolezza è purtroppo arrivata dalla guerra. Di fronte a quel che accade nel mondo i film sono banali, ma un’opera di intrattenimento può essere utile a scoprire nuove pieghe della storia, a coinvolgere il pubblico».
Al Manhattan Project furono chiamate le starscientifiche dell’epoca, lei ha voluto un dream team di attori. Cillian Murphy porta sulle spalle l’interpretazione della vita. Emily Blunt è la controversa moglie dello scienziato, Kitty, Matt Damon è Leslie Groves, il generale responsabile del progetto Manhattan, Robert Downey Jr è un irriconoscibile Lewis Strauss, presidente della Commissione per l’energia atomica per cui Oppenheimer è “un pericolo per la sicurezza nazionale”.
«Ho sempre considerato Cillian uno dei più grandi attori della sua generazione. È stato emozionante chiamarlo da protagonista. Con Oppenheimer c’è una grande somiglianza fisica, specie negli occhi e nella qualità ultraterrena dello sguardo. Poiché la sceneggiatura è in prima persona, avevo bisogno di un attore che il pubblico volesse accompagnare nel viaggio, guardando attraverso i suoi occhi. Poi ho cercato i migliori attori. Robert Downey Jr. ha un tale carisma da star che ci si scorda che è un attore incredibile. Stimavo Matt Damon da
Interstellar,
Emily Blunt ha infuso umanità nella travagliata Kitty».
L’altra sfida del film è la tecnologia Imax usata, per la prima volta, anche per il bianco e nero.
«Data la struttura, cercavamo il miglior formato mai inventato per dimensioni e spettacolarità. La maggior parte della storia è narrata da Oppenheimer in mododiretto, a colori. Poi c’è lo sguardo da repertorio, in bianco e nero, che corrisponde al punto di vista di Lewis Strauss.
Il pubblico così percepisce immediatamente il cambio di narrazione».
Che cosa rappresenta per lei “Oppenheimer”, dal punto di vista personale e artistico?
«Difficile rispondere. Con ogni film mi metto alla prova, affronto cose nuove.
Oppenheimer
rappresenta un atto di fiducia nei film e nei cinema. A Hollywood ora non ci sono tanti film per adulti che i distributori e gli studios si impegnano a produrre e sostenere in sala. È come se avessero deciso che le persone anziane non torneranno al cinema e i giovani non sono interessati a questi temi. Non credo che sia vero, basta guardare quanti cinquantenni sono andati a vedere
Avatar.
Al fianco dei giganti d’azione devi coltivare altro. Il cinema ha prosperato grazie un mix di generi e fascini diversi. Oppenheimer può sembrare un po’ anomalo nel mondo di oggi, ma penso che sia all’altezza di ciò che Hollywood ha sempre fatto al suo meglio: film realizzati su larga scala, emozionanti, su persone e fatti reali. Penso aQuarto potere, Lawrence d’Arabia, JFK. Speriamo di esserci riusciti. La cosa meravigliosa dell’esperienza in sala, così importante per me, è che è il pubblico che ti dice cos’è il film».