Ci sono autori che si presentano al mondo con uno stile già definito, in attesa solo di essere cesellato in corso d’opera. Altri, invece, «crescono in pubblico»: procedono incalzati dall’urgenza di un cambiamento che rende ogni approdo un nuovo punto di partenza.

James Ellroy fa parte del secondo gruppo: ha rovesciato i canoni del noir e spianato le barriere tra letteratura di genere e mainstream sino a rendere impossibile ricostruirle; ma nessuno lo avrebbe ipotizzato quando, all’inizio degli anni Ottanta, cominciarono a uscire i suoi ancora molto convenzionali romanzi.

Prima di Dalia Nera, che nel 1987 mise in piazza con una crudezza sconosciuta anche agli scrittori di noir più impietosi la realtà perversa e dissoluta di Los Angeles, Ellroy aveva già dato alle stampe sei libri in pochi anni.

I temi e le ossessioni che si sarebbero poi imposti come cifra della sua narrativa si annunciavano appena. Era assente quella ricerca stilistica che avrebbe poi assunto dimensioni vertiginose, rendendo quasi secondarie, oltre che difficilmente comprensibili, le trame degli ultimi libri, complessi e bellissimi.

Einaudi ripubblica ora quattro vecchi titoli del miglior bardo della Los Angeles più malfamata, L.A. Confindential e White Jazz, terzo e quarto titolo del primo «Los Angeles Quartet», sono entrambi notissimi, mai usciti di catalogo, da una trentina d’anni.

L.A. Confindential Ellroy deve il primo vero trionfo di mercato. White Jazz, meno fortunato e probabilmente anche meno riuscito, occupa però un posto chiave nella sua sperimentazione stilistica. Il manoscritto era stato giudicato troppo lungo dalla casa editrice. Invece di tagliarlo, Ellroy eliminò quanto più possibile i verbi, esasperando così uno stile che era già diventato molto più telegrafico e sincopato rispetto al ritmo quasi tradizionale dei romanzi d’esordio.

Non sarebbe tornato indietro: puntò via via sempre di più sullo stravolgimento del ritmo e su un uso sperimentale della lingua, sconosciuto anche ai migliori scrittori noir.

Gli altri due titoli riproposti, Prega Detective, pubblicato nel 1981 ma scritto negli anni Settanta, e Clandestino, dell’anno seguente, erano già stati tradotti negli anni ‘Novanta, ma essendo passati quasi inosservati, erano finiti rapidamente fuori circolazione.

Soprattutto il secondo andrebbe riscoperto. Non solo perché è comunque un noir solido e avvincente, che fruttò all’allora sconosciuto autore la prima candidatura all’Edgar Award nel 1982, ma anche perché è il primo passo, ancora malcerto, di Ellroy nella titanica opera di riscrivere, demistificandola, la storia della sua città.

Ellroy è lo storico dei crimini e dei protagonisti oggi dimenticati della L.A. del XX secolo, nei decenni dorati che vanno dalla guerra ai primi anni Settanta. È il loquace depositario di segreti inconfessabili, l’archivista dei vizi e delle trame torbide nascoste dietro lo scintillio di Tinseltown.

Clandestino, ambientato nel 1951, è la prima escursione di Ellroy nel passato di Los Angeles, quasi un prologo ancora timido ma imperdibile ai monumentali cicli successivi: i 2 Quartet, la Trilogia americana, la compagine di racconti e romanzi brevi. Compare qui per la prima volta il personaggio destinato ad affermarsi come il vero protagonisti della saga di L.A.: Dudley Smith, poliziotto irlandese, eroe del Los Angeles Police Department ma anche feroce e ambizioso gangster.

Istrionico, esagerato, ignobile e romantico, Dudley è la personificazione dei vizi e delle ombre ma anche del titanismo vitale della città-piovra in cui «arrivi spregiudicato, riparti pregiudicato».

Dopo la rapida ma incisiva comparsata nel romanzo del 1982, Dudley avrà il ruolo di antagonista fisso in tre dei quattro romanzi del primo Quartet per poi risorgere, stavolta come protagonista, nella seconda tetralogia, ambientata una decina di anni prima, della quale sono usciti per ora solo i primi due titoli.

La parabola di Dudley Smith, da Clandestino al secondo L.A. Quartet è il riflesso dei cambiamenti che hanno portato Ellroy da autore di buoni romanzi polizieschi a cartografo della tragedia morale dell’America.

In Clandestino è ancora solo un poliziotto violento e privo di scrupoli. Lo ritroveremo cinico cacciatore di rossi nella Hollywood flagellata dal maccartismo, impegnato a sfruttare a proprio vantaggio l’ondata di panico anticomunista.

Si trasformerà poi in una personificazione dei mali che stritolano la metropoli: poliziotto marcio e bandito megalomane che mira a raccogliere l’eredità del capobanda in disgrazia, Mickey Cohen.

I romanzi più recenti ne mostrano gli intimi travagli, i crucci morali, la pazzia e il tormento. Smith porta all’esasperazioni il dilemma che perseguita tutti i protagonisti di Ellroy: è un’anima persa, in cui alberga nascosto un elemento angelico, condannato a cercare invano una redenzione impossibile. In lui vive lo spirito energico e funesto, dissoluto e travagliato, di Los Angeles.