LONDRA
Shirin Ebadi lo spera con tutta se stessa: «Un giorno tornerò nell’Iran libero». L’avvocata iraniana, 78 anni tra pochi giorni, premio Nobel per la pace, vive in esilio a Londra dal 2009. E proprio dalla capitale britannica commenta con Repubblica questi giorni drammatici per il suo Paese e il suo popolo. Che lei ha sempre difeso, in patria e all’estero.
Signora Ebadi, cosa sta accadendo e cosa accadrà ora in Iran?
«Auspico che il mio popolo diventi sempre più unito e gli iraniani si saldino nella loro protesta. Non è ancora così. Ma in questo momento, in diverse città e a Teheran, stanno crescendo gli slogan contro il regime, che chiedono la fine della Repubblica islamica».
Secondo lei le bombe israeliane fortificano o indeboliscono il regime iraniano?
«Dipende. Al di là della propaganda di Stato, la maggior parte del popolo iraniano non ha mai avuto problemi con gli israeliani, perché il regime non li rappresenta. Non a caso, i primi attacchi di Israele contro i pasdaran non hanno trovato l’opposizione della popolazione.
Ma il sentimento dei cittadini è cambiato quando sono stati attaccati civili e infrastrutture, nonostante quanto dichiarato dal premier israeliano Netanyahu nelle prime ore. Perché il mio popolo ha già sofferto molto in questi anni, e ora di questo passo sarà difficile che l’Iran si riprenda».
Ma un intervento straniero di questo genere quanto può davvero aiutare l’Iran e il popolo iraniano?
«Secondo me i soli interventi militari e la guerra non aiuteranno a sovvertire il regime. La chiave è internet».
Perché ne è così sicura?
«Perché il regime diventa evidentemente ancora più aggressivo quando si sente vulnerabile online. Sin dal primo giorno, le autorità hanno minacciato che nessuno doveva condividere sui social notizie di ogni tipo. Hanno arrestato diverse persone tra cui una celebre attivista femminista, appena uscita dal carcere dopo molti anni, solo perché aveva condannato la guerra».
Ma le bombe israeliane contro gli ayatollah avranno un effetto, secondo lei?
«Aver ucciso numerosi capi della Repubblica islamica contribuisce sicuramente a un indebolimento del regime, così come aver decapitato le forze di repressione che lo tengono in vita, vedi il ministero dell’Intelligence, vitale per il governo. Ma non basta.
Perché auspico che quest’ultimocada per mezzo degli iraniani e non attraverso la guerra di potenze straniere».
Perché?
«Perché gli attivisti sono fondamentali e devono comunicare. Il regime degli ayatollah sarebbe capace di resistere fino all’ultimo missile, a oltranza. A meno che gli iraniani non si sollevino prima. Ma per potersi organizzare hanno bisogno di scambiare notizie eaver accesso a Internet. Allora, sono convinta che sempre più dirigenti degli apparati del regime si convinceranno ad abbandonare gli ayatollah e ricongiungersi al popolo iraniano. Contro la Repubblica islamica».
E a quel punto cosa potrebbe accadere?
«Se i giovani iraniani saranno sostenuti nella propria lotta, il regime potrebbe presto crollare e l’Iran potrebbe essere guidato verso un referendum e la democrazia».
Reza Ciro Pahlavi II, figlio ed erede dello Scià di Persia, ha già dato la sua disponibilità a guidare il Paese in un periodo di transizione.
«Va bene, ma il sistema di governo in Iran deve essere deciso con un referendum libero. In cui il popolo potrà scegliere la Costituzione, tra monarchia o repubblica. Pahlavi non ha più diritti rispetto agli altri».
Lei crede di riuscire a vedere l’Iran libero in vita?
«Sono convinta di tornare nel mio Paese democratico. Un giorno sarà libero. Intanto, sono qui per dare voce alle persone libere».