La crisi migratoria deflagrata dopo il naufragio di Cutro, gli improvvidi commenti del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sulle ragioni che spingono le persone ad affrontare la traversata del Mediterraneo, le polemiche e i sospetti, sorti pure fra le forze che compongono la maggioranza di governo, circa il mancato salvataggio dei naufraghi da parte della Guardia Costiera, stanno aprendo una frattura sempre più ampia fra l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni e la Chiesa.
Non che le cose fino ad oggi fossero andata benissimo sotto questo profilo: già sulle misure di contrasto alla povertà si era capito che la situazione aveva preso una brutta piega; la Cei e la Caritas, infatti, pur criticando alcuni aspetti del reddito di cittadinanza, ne chiedevano un aggiornamento e un miglioramento non certo una cancellazione. In generale le politiche sociali del governo venivano guardate con diffidenza da parte della Cei, a cominciare dallo scarso impegno in favore del sostegno alle famiglie dovuto pure alle ristrettezze finanziarie.
D’altro canto, non va dimenticato come anche il progetto di “autonomia differenziata” sia stato fortemente criticato dai vescovi, per le gravi diseguaglianze nelle quali precipiterebbe il Paese. In sostanza, è in particolare la componente leghista del governo che sta entrando in conflitto con il mondo cattolico, ma non solo. E i pontieri governativi poco possono in questa fase.
NON È TEMPO DI FAMILY DAY
Sia Eugenia Roccella, ministro per la famiglia, la natalità le pari opportunità, sia Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, già fra i garanti del centrodestra presso i “sacri palazzi” in epoca berlusconiana, oggi non hanno molto spazio di manovra.
Al centro del dibattito infatti, non ci sono i classici temi etici del passato: dal testamento biologico, all’aborto, ai diritti delle persone lgbtq+; non è il tempo dei Family day insomma. E anche da parte ecclesiale, oltre ai dissensi, si registra una certa freddezza se non indifferenza per l’operato del governo nel suo insieme.
Certo, il fatto che l’Osservatore romano, abbia dedicato un editoriale non firmato – e per questo certamente in linea col pensiero della Segreteria di Stato – alla strage di migranti nel crotonese, dal titolo: “La marcia indietro sui diritti umani”, la dice lunga sul forte disappunto con il quale dal Vaticano hanno guardato alla gestione dell’intera vicenda. Il giornale del papa ha replicato nell’edizione diffusa ieri pomeriggio, con una foto a tutta pagina delle bare dei migranti morti per mare.
LE OMISSIONI
Martedì, poi, il presidente della Cei, Matteo Zuppi intervenendo su tv2000, l’emittente della Cei, aveva affermato in merito a quanto avvenuto nelle acque calabresi: «Dobbiamo ripartire dal dolore e da questo deve scaturire una determinazione rinnovata capace di vedere le responsabilità e anche le omissioni che possono favorire tragedie come queste».
Se il capo dei vescovi parlava di “omissioni”, l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, chiamava in causa con un severo ‘j’accuse’, il ministro Piantedosi: «La responsabilità è nostra: quel che è avvenuto a Cutro – affermava mons. Lorefice nel suo messaggio – non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi».
Quindi concludeva: «Il culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime».
«Io non partirei», aveva detto il ministro, dimenticando probabilmente, che i naufraghi provenivano da Afghanistan, Pakistan, Palestina, Siria, Iran, Somalia. Il che dimostra, fra l’altro, come sia quasi impossibile fare distinzioni fra rifugiati e migranti economici come ha spesso ricordato il Centro Astalli dei gesuiti.
Anche il direttore di Caritas italiana, don Marco Pagniello, criticava le scelte compiute dal governo: «Questo naufragio – affermava – avviene all’indomani della conversione in legge del decreto che limita gli interventi di salvataggio in mare. Caritas Italiana ribadisce l’urgenza di una risposta strutturale e condivisa con le istituzioni e i diversi Paesi, affinché l’Italia e l’Europa siano all’altezza delle loro tradizioni, delle loro radici e del loro umanesimo».
Poi, a provare a dare una sterzata al dibattito, ci aveva pensato il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida di Fratelli d’Italia che, da Bruxelles, faceva sapere come il governo quest’anno intendesse lavorare «per far entrare legalmente quasi 500.000 immigrati legali».
Il numero non è casuale, ma deriva dalle necessità registrate in vari settori produttivi, si tratterebbe, fra le altre cose, di far funzionare potenziare uno strumento che già esiste: il vecchio decreto flussi di cui diversi organismi cattolici impegnati sul fronte dell’accoglienza chiedono da tempo che venga valorizzato.