Se l’Ottocento ebbe la destra storica, a noi tocca quella anti-storica; estranea ai veri conservatori, amanti delle tradizioni, farebbe del presidente della Repubblica, baluardo unitario in un paese fazioso, un ciambellano. La politica di bilancio della destra è incompatibile con gli investimenti pubblici imposti dalle sfide attuali, che dovranno sempre più far perno sull’Ue, da lei vista come un bancomat malmesso.

Il Senato ha varato in commissione una riforma fiscale che va in aula; è la “rivoluzione” lanciata con maxi-intervista al Sole 24 Ore dalla premier. Rivoluzionaria fu quella del ’75, nata da confronti fra studiosi di Scienza delle Finanze come Cesare Cosciani e Bruno Visentini; questa l’han scritta i commercialisti, a misura delle loro visioni, o interessi.

Troppo incolta per concepire ampi disegni fiscali, la destra vuole attuare trent’anni di minuti proclami anarcoidi. Ecco l’esclusione di sanzioni e l’accorciamento dei tempi d’accertamento per sistemi fiscali certificati da “professionisti qualificati”. All’Agenzia delle Entrate, che notoriamente estorce ai cittadini il pizzo di stato, van tagliate le unghie, per giungere alla pace fiscale in cui gli estorsori non mettano più «le mani nelle tasche degli italiani». Neanche in quelle degli eredi Berlusconi, che han legalmente pagato una miseria sulla fortuna ereditata.

L’evasione fiscale è imbattibile e va messa sotto il tappeto grazie ad accordi in cui l’impresa definisce i redditi del prossimo biennio con la sventurata Agenzia. Dopo, questa non potrà più mettere il becco, o contestare redditi maggiori, magari ottenuti smistando nel tempo l’imponibile, come fa comodo; così avremo abolito l’evasione.

La candida destra sa che l’impresa conosce se stessa ben più della povera Agenzia; le leggi devono valere non solo per le imprese corrette, anche per i troppi potenziali evasori.

E in aula il Senato potrebbe estendere gli accordi a milioni di partite Iva in flat tax. Festeggiano garruli i commercialisti, nuovo potere forte italico. E sull’evasione il governo già mette le mani avanti; per Federico Fubini sul Corriere, il nuovo Pnrr ridimensiona (del 5% nel 2023 e del 15% nel 2024) i piani per ridurla, a causa delle “crisi di liquidità” delle imprese, altrimenti descritte in buona salute.

Meloni ci lascerà l’eredità dei suoi fallimenti. Le manca il coraggio dei conservatori che mirano ad «affamare la bestia». Forse un disegno c’è, ma occulto: da buoni individualisti vogliono ridurre (specie ai loro elettori) le tasse, lasciandogli due soldi, insufficienti però a pagare servizi sempre più cari.

Fortuna che il vice-ministro Maurizio Leo, autore della riformina, dice no ai nuovi condoni chiesti da Matteo Salvini. Badi a non farsi superare a destra, facendosi cogliere con le mani nelle nostre tasche.