di Pablo Maurette
All’ombradei giganti
Quanti artisti toscani del Cinquecento restano ancora da conoscere? Il secolo che vide Michelangelo, Leonardo, Pontormo e Bronzino sembra essere una fonte inesauribile di genio e di maniera. Oggi, la Galleria dell’Accademia di Firenze ci presenta Pier Francesco Foschi. Questa è la prima rassegna monografica ( fino al 10 marzo 2024) che si fa in Europa di un artista tanto interessante quanto poco noto. Foschi nacque a Firenze nel 1502 e da molto giovane entrò a lavorare nella bottega di Andrea Del Sarto. Negli anni Trenta, il Pontormo lo portò con sé insieme a Bronzino come assistente per lavorare sulla decorazione della loggia della villa medicea di Careggi.
L’apice della carriera del Foschi arriva negli anni Quaranta quando gli vengono commissionate le tre pale d’altare per la Basilica di Santo Spirito, a Firenze. Negli anni successivi, fu membro fondatore dell’Accademia del Disegno e collaborò con la creazione degli apparati effimeri per i funerali di Michelangeloe per le nozze di Francesco I e Giovanna d’Austria. Foschi morì a Firenze nel 1567 e venne sepolto a Santo Spirito, in Oltrarno. Pier Francesco Foschi ( 1502- 1567). Pittore fiorentino, curata da Elvira Altiero, Simone Giordani e Nelda Damiano ( curatrice della prima mostra monografica in assoluto dedicata a Foschi, tenuta al Georgia Museum of Art, ad Athens, Georgia, negli Stati Uniti), e sotto la direzione generale di Cecilie Hollberg, è divisa in cinque sezioni. S’inizia dall’esordio professionale e dalla formazione di Foschi presso la bottega di Del Sarto. La Madonna col bambino in trono con un angelo musicante tra i santi Benedetto e Bernardo da Chiaravalle, un olio su tavola del 1523-1526 che si trova nella Chiesa di San Barnaba, a Firenze, mette in evidenza la straordinaria competenza tecnica che aveva raggiunto Foschi a vent’anni. Il modello del maestro si vede in una sobria concezione dello spazio e nell’eloquenza delle fisionomie. Ciò malgrado, Foschi innova e fa dell’angioletto del modello ( laPala di Sant’Ambrogio, di Del Sarto) un musicante, la cui espressione malinconica e mondana rammenta addirittura lo sguardo degli angioletti del Rosso Fiorentino.
Da qui passiamo alla seconda sezione, “Sull’esempio del maestro”, dove troviamo uno dei punti più alti della mostra, ilSacrificio d’Isacco ( 1530- 1535), olio su tela conservato nella Villa del Poggio Imperiale. Anche in esibizione, vediamo il modello incompiuto di Del Sarto, in prestito dal Cleveland Museum of Art. La versione di Foschi, fedelissima al modello, esibisce tuttavia note proprie di uno stile personale che spunta, ad esempio – come segnala Elvira Altieri – «l’accentuazione plastica delle forme e la semplificazione dei tipi fisionomici »; semplificazione che però aumenta l’effetto di perspicuità. Difatti, le espressioni dei tre protagonisti, il rigore dell’angelo, la confusione di Abramo, la mancanza totale di speranza d’Isacco, colpiscono per la loro chiarezza emotiva.
La terza sezione si occupa delle pale d’altare, il punto più alto nella carriera di Foschi a livello di prestigio anche se non di qualità e originalità. I pannelli laterali e le predelle del Polittico del sacramento( 1535- 1540), compiuto per la chiesa di Santi Iacopo e Antonio a Fivizzano, in Massa Carrara, raccontano la vita dei martiri San Sebastiano e San Rocco in uno stile peculiare per la Firenze di quei tempi. Le scene delle vite dei santi hanno un’aria quattrocentesca e colori che sembrano d’Oltralpe. Il Cristo in pietà sorretto dagli angeli ( 1562), un olio su tavola tardivo, segue ancora i modelli sarteschi. E nella Resurrezione( 1542- 1545) si vede già l’influenzadel Pontormo nelle figure più allungate e, come osservò Antonio Pinelli, «nell’adozione di un cromatismo più acceso e luminoso che attenua i contrasti chiaroscurali».
Da qui si passa ai dipinti per la devozione privata, dove troviamo quello che forse è il quadro più ispirato di Foschi, Giuditta e Oloferne(1540-1545), un olio su tavola in prestito dalla Spier Collection, a Londra. Il soggetto tanto amato dai fiorentini è trattato da Foschi in un modo fresco e potente che include perfino una coltissima citazione michelangiolesca: la figura di Oloferne si riferisce a quella di Noè dipinta dal Buonarroti nella Cappella Sistina. In ogni caso, l’elemento più notevole è che Foschi cattura il momento tra il primo e il secondo colpo di spada, quello che finalmente taglia la testa del generale assiro. Secondo il Libro di Giuditta, la vedova « lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa ». L’Oloferne di Foschi è stato già colpito, vediamo una striscia di sangue sul collo che accenna una ferita aperta. Lei sembra calma ma concentratissima mentre si prepara adare il colpo di grazia. L’artista riesce a plasmare con grande padronanza stilistica un istante di tesa quiete che testimonia e prefigura due momenti, uno appena passato e l’altro subito a venire, di tremenda violenza e caotico movimento.
Il percorso espositivo si chiude con una serie di ritratti che Foschi fece tra il 1530 e il 1555. La tecnica impeccabile di Foschi si apprezza specialmente nell’attenzione all’abbigliamento degli effigiati. Il velo sottilissimo della vedova sconosciuta è un prodigio di raffinatezza. E il colletto bianco ricamato di filo scuro di Giovanni di Francesco del Nente è un esempio perfetto di quei «valori tattili » di cui parlava Bernard Berenson. Un dettaglio squisito da non perdere è il calamaio in bronzo del Cardinale Antonio Pucci, decorato con una replica dello Spinario.
Chi visiterà la mostra sicuramente non scoprirà un genio sconosciuto. Tutto sommato, l’arte di Foschi è piuttosto derivativa. Le sue forme sono leggermente rigide e al tocco del suo pennello manca quella grazia ineffabile dei titani fiorentini del Cinquecento. Nonostante ciò, il livello tecnico della sua opera è preziosa testimonianza degli altissimi parametri che governavano la scena artistica di quella Firenze che stava già iniziando il suo inesorabile declino.