
Xi Jinping e il nuovo ordine mondiale (con un ringraziamento a Trump)
2 Settembre 2025
Francia: una rentrée parlamentare sull’orlo del caos
2 Settembre 2025
Una delle più grandi associazioni mondiali di studiosi del genocidio, la International Association of Genocide Scholars, ha approvato con larga maggioranza una risoluzione che accusa Israele di commettere atti che rientrano nella definizione legale di genocidio. Nel documento si denunciano uccisioni di civili, fame imposta, blocco degli aiuti umanitari, violenze sessuali e spostamenti forzati della popolazione: tutti elementi che, secondo il diritto internazionale, possono configurare crimini contro l’umanità.
Tel Aviv ha respinto le accuse definendole “vergognose” e frutto della propaganda di Hamas. All’interno della stessa comunità accademica, tuttavia, non sono mancate voci critiche, secondo cui la risoluzione sarebbe stata adottata senza un confronto sufficiente tra i membri.
Mentre crescono le pressioni dall’estero, Israele è attraversato da profonde divisioni politiche e istituzionali. Al centro di queste spaccature c’è l’Idf (Forze di Difesa Israeliane). Il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha avvertito che l’offensiva per conquistare Gaza City rischia di trasformarsi in una occupazione militare permanente, con conseguenze ingestibili per la popolazione e per lo stesso Stato ebraico. «State andando verso un governo militare», ha detto ai ministri, ricordando che non esistono organismi civili in grado di assumersi la gestione della Striscia.
Le parole di Zamir hanno trovato sostegno da parte di ministri come Gideon Sa’ar (Esteri) e Gila Gamliel (Intelligence), ma hanno scatenato la reazione dei falchi della coalizione. Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich continuano a chiedere la prosecuzione senza compromessi dell’offensiva e il rifiuto di qualunque accordo di tregua.
Il premier Benjamin Netanyahu mantiene una linea dura, sostenendo che una tregua parziale non sarebbe accettata nemmeno dal presidente statunitense Donald Trump, suo principale alleato. Hamas, dal canto suo, aveva accettato una proposta che prevedeva il rilascio di ostaggi e un cessate il fuoco temporaneo, in cambio di prigionieri palestinesi e dell’ingresso di aiuti nella Striscia.
Queste divergenze mostrano come l’Idf stia assumendo un ruolo inedito: da strumento esecutivo delle decisioni politiche a voce critica verso il governo, con l’obiettivo di evitare che la guerra degeneri in un pantano senza vie d’uscita. Un segnale che riflette non solo il logoramento interno allo Stato israeliano, ma anche l’incertezza di fronte a un conflitto che continua a produrre migliaia di vittime civili e a lasciare Gaza in condizioni disperate.